Luglio Agosto 2016 - In depth review

Chelanti del fosforo a base di ferro: quali nuovi vantaggi?

Abstract

L’iperfosforemia osservata in pazienti in stadio terminale di malattia renale (CKD) si associa ad un aumento di morbilità e mortalità cardiovascolare. I chelanti del fosforo, somministrati per via orale, sono prescritti a questi pazienti per prevenire l’assorbimento intestinale del fosforo assunto con la dieta e di conseguenza per ridurne i livelli sierici. Ai chelanti del fosforo attualmente disponibili si associano diversi problemi come il bilancio positivo di calcio per i chelanti del fosforo a base di calcio, o i costi troppo elevati per quanto riguarda i chelanti del fosforo non a base di calcio. I chelanti del fosforo a base di ferro rappresentano una nuova classe di chelanti del fosforo. Molti chelanti del fosforo a base di ferro sono stati testati tramite studi clinici. Il citrato ferrico (JTT-751) e l’ossi-idrossido sucroferrico (PA21) sono i due chelanti a base di ferro che sono stati approvati in campo clinico dopo essere risultati sicuri ed efficaci nel ridurre i livelli di fosfato sierico. Il ferro presente nel citrato ferrico viene parzialmente assorbito, diversamente da quello dell’ossi-idrossido sucroferrico. L’utilizzo del citrato ferrico può avere come risultato un’importante riduzione dell’utilizzo di agenti stimolanti l’eritropoiesi (ESA) e ferro endovena, con conseguente riduzione di costi. L’ossi-idrossido sucroferrico si dimostrò efficace nell’abbassare i livelli di fosforo sierico nei pazienti in dialisi con un’efficacia simile a quella del sevelamer carbonato, ma con ridotto carico di pillole e migliore aderenza terapeutica. Il citrato ferrico potrebbe essere più adatto nel trattamento dell’iperfosforemia cronica nei pazienti con insufficienza renale cronica che necessitano di supplementazione marziale; tuttavia il suo utilizzo potrebbe essere ostacolato da un potenziale sovraccarico di alluminio, in quanto il citrato ne facilita l’assorbimento. L’ossi-idrossido sucroferrico, il solo approvato in Europa al momento, potrebbe essere più adatto ai pazienti con insufficienza renale cronica e iperfosforemia che non richiedano supplementazione di ferro, con minore carico di pillole.

Parole chiave: chelanti del fosforo a base di ferro, dialisi cronica, iperfosforemia, iperparatiroidismo secondario

 

Introduzione

L’alterato metabolismo minerale osseo nell’insufficienza renale cronica (CKD-MBD), presente nei pazienti in dialisi, è una sindrome complessa che comprende alterati parametri biochimici del metabolismo minerale e osseo, malattia ossea clinicamente e istologicamente evidente, e calcificazioni vascolari associate ad un aumentato rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare [1]. Non tutte le componenti del CKD-MBD sono sempre presenti in tutti i pazienti, ma sono altamente intercorrelate. Una delle componenti più frequenti è l’iperfosforemia, la quale è stata tradizionalmente trattata con restrizioni dietetiche e chelanti del fosforo agenti a livello intestinale, ma sono ancora sconosciuti gli effetti benefici della riduzione del fosforo su mortalità e outcome cardiovascolare dei pazienti con insufficienza renale cronica al V stadio in dialisi. Studi prospettivi osservazionali di coorte (DOPPS e COSMOS) hanno mostrato che la somministrazione di chelanti del fosforo riduce il rischio di mortalità per cause cardiovascolari e non [2] [3]. Queste associazioni necessitano di conferma per mezzo di studi controllati randomizzati, per provare gli effetti benefici osservati.

Vantaggi e svantaggi dei chelanti del fosforo attualmente disponibili

L’utilizzo dei chelanti del fosforo, sia a base di calcio che non, è indicato per abbassare i livelli sierici di fosfato e prevenire l’iperfosforemia in pazienti con insufficienza renale cronica. Risulta esserci evidenza che i chelanti del fosforo sono ugualmente efficaci nel ridurre le concentrazioni di fosfato sierico se sono correttamente titolati. A causa della mancanza di evidenza di aumento del tasso di sopravvivenza da parte di ogni tipo di chelante del fosforo intestinale non a base di calcio, e a causa del loro costo 50-70 volte più basso, le linee guida Kidney Disease Improving Global Outcomes (KDIGO) raccomandano l’uso di chelanti del fosforo a base di calcio come trattamento di prima scelta nei pazienti in stadio V di malattia renale cronica [4].

Comunque, il nuovo concetto di squilibrio minerale osseo nell’insufficienza renale cronica (CKD-MBD) ha chiaramente influenzato le linee guida cliniche. Le linee guida KDOQI dal National Kidney Foundation, nel 2003, raccomandavano che i chelanti del fosforo a base di calcio fossero evitati nel trattamento dell’iperfosforemia in presenza di calcificazioni cardiovascolari [5]. Nel 2009 le linee guida KDIGO e altre linee guida internazionali rinforzarono ed estesero questa raccomandazione affermando che è ragionevole scegliere la terapia chelante orale prendendo in considerazione altre componenti di CKD-MBD: in presenza di calcificazioni vascolari/valvolari dovrebbero essere scelti preferenzialmente i chelanti del fosforo non a base di calcio.

Come primo outcome, una recente metanalisi ha unito i dati provenienti da studi randomizzati per aggiornare gli effetti dei chelanti a base di calcio, rispetto a quelli non a base di calcio, su tutte le cause di mortalità nei pazienti con IRC [6]. L’analisi degli 11 studi randomizzati (4622 pazienti) che riportavano un outcome in mortalità, mostrò che pazienti assegnati alla terapia con chelanti privi di calcio (Sevelamer e Lantanio carbonato) avevano una riduzione del 22% in tutte le cause di mortalità rispetto ai pazienti assegnati alla terapia con chelanti a base di calcio (odd ratio 0,78, 95% CI 0,61-0,98). Ad ogni modo, sono necessari ulteriori studi per identificare se la riduzione della mortalità è data da una riduzione della mortalità cardiovascolare (probabilmente in relazione alla riduzione della progressiva deposizione di calcio nelle arterie), e per valutare se la mortalità è differente con diversi tipi di chelanti privi di calcio.

In aggiunta a questo importante aspetto della terapia con chelanti del fosforo, ce ne sono altri che devono essere presi in considerazione. Il primo aspetto è il potenziale assorbimento gastro-intestinale di sostanze attive che possono essere dannose o, al contrario, benefiche per l’organismo. Il secondo aspetto è se questi chelanti siano in grado di legare nell’intestino non solo il fosforo, ma anche altre sostanze dannose o utili all’organismo. Il terzo aspetto è la compliance alla terapia con chelanti del fosforo. Infine, il quarto aspetto è l’effetto dei diversi chelanti del fosforo sui livelli sierici di FGF23.

L’assorbimento di parti attive, anche se minore, può essere motivo di preoccupazione a causa dell’accumulo e della potenziale tossicità, come si riscontrò in passato per i chelanti a base di alluminio. Nel caso del lantanio, c’erano iniziali preoccupazioni in merito al suo potenziale accumulo nel sangue, nel fegato e nell’osso. Tuttavia è stato dimostrato sperimentalmente e clinicamente che l’accumulo di lantanio in questi organi è minimo [7] (full text). Il magnesio, assorbito a partire dai chelanti del fosforo a base di magnesio carbonato, può agire da anti-aritmico e può avere importanti azioni inibitorie sulla calcificazione vascolare, anche se l’evidenza definitiva di protezione cardiovascolare rimane scarsa [8] (full text) [9] (full text). Studi osservazionali su pazienti in dialisi hanno suggerito che bassi livelli sierici di magnesio sono associati a morbilità cardiovascolare, come ad esempio calcificazioni dell’anulus mitralico, calcificazioni arteriose periferiche, ispessimento intimale e medio dell’arteria carotide e aumentato rischio di mortalità [10] [11]. D’altro canto, alti livelli sierici di magnesio sono correlati a bassi livelli di paratormone (PTH), che determinano un ridotto turnover osseo.

Sevelamer lega diversi composti nell’intestino, oltre al fosforo: colesterolo, urato e tossine uremiche. Di conseguenza, potrebbe avere effetti pleiotropici, in aggiunta alla riduzione dei livelli sierici di fosfato [12]. Lega anche vitamine liposolubili, tra cui le vitamine D e K. Ad ogni modo, le implicazioni cliniche del loro utilizzo devono ancora essere stabilite.

I chelanti del fosforo, che rappresentano circa la metà del carico giornaliero di pastiglie nei pazienti in emodialisi, portano ad una frequente mancanza di aderenza terapeutica. In uno studio recente, il valore mediano del carico di pillole per tipo di chelante del fosforo era: sevelamer in monoterapia, 9 (range interquartile IQR, 6), calcio in monoterapia, 9 (IQR, 3), lantanio in monoterapia, 6 (IQR, 3) e terapia combinata, 13 (IQR, 10) (P<0.001 per trend) [13] (full text). Per diversi chelanti del fosforo, il numero di pastiglie da assumere giornalmente e gli effetti collaterali a carico del sistema gastro-intestinale rappresentano le maggiori cause di ridotta compliance.

Diversi studi prospettici in gruppi di soggetti affetti da insufficienza renale cronica in fase predialitica [14] (full text), all’inizio della dialisi [15] (full text), stabilmente in emodialisi [16] (full text) e in pazienti trapiantati, dimostrano che elevati livelli di FGF23 circolante sono indipendentemente associati ad un aumentato rischio di eventi e mortalità cardiovascolari.

[17] (full text)

Inizialmente si pensava che FGF23 fosse solo un biomarcatore di tossicità e di alterato equilibrio di fosfato. Ad ogni modo, studi recenti hanno dimostrato che FGF23 può avere effetti cardiaci diretti, determinando ipertrofia del ventricolo sinistro [18] (full text) [19]. Questo suggerisce che alti livelli di FGF23 possano rappresentare nuovi meccanismi che determinano un peggiore outcome in CKD. Per questo, l’effetto dei vari chelanti del fosforo sui livelli di FGF23 circolante può avere importanti implicazioni su morbilità e mortalità dei pazienti affetti da CKD. I chelanti non a base di calcio si sono dimostrati capaci di ridurre FGF23, al contrario dei chelanti a base di calcio. Uno studio recente dimostra che nei pazienti in dialisi esiste una relazione negativa tra la somministrazione di ferro e FGF23 sierico, in contrasto con quanto osservato nella popolazione generale. Quindi, se alti livelli di FGF23 sono dannosi, la terapia con ferro può avere effetti benefici su mortalità ed eventi cardiovascolari nei pazienti in dialisi, anche riducendo i livelli di FGF23 [20].

Chelanti del fosforo a base di ferro

I chelanti del fosforo a base di ferro rappresentano una nuova classe di chelanti recentemente introdotta. Diversi chelanti del fosforo a base di ferro sono stati sottoposti a test clinici: Citrato Ferrico (JTT-751, Zerenex®), Ossi-idrossido sucroferrico (PA-21, Velphoro®), Fermagate, SBR759 e PT20. Gli sviluppi di Fermagate (ferro-magnesio idrossicarbonato) e SBR759 sono attualmente in attesa (Tabella 1).

Citrato ferrico (JTT-751, ZERENEX®)

Il citrato ferrico è approvato per il trattamento dell’anemia nello stadio terminale di insufficienza renale cronica (ESRD) in Giappone, ed è stato recentemente approvato dalla US Food and Drug Administration come trattamento per via orale dell’iperfosforemia in CKD. Il riepilogo degli studi pubblicati è riportato in Tabella 2 [21] [22] [23] (full text) [24] [25] (full text).

Studi sugli animali

Topi normali, sottoposti per 7 giorni a una dieta contenente 0.3, 1 o 3% di citrato ferrico (JTT-751), hanno aumentato l’escrezione fecale di fosforo, con una riduzione dell’assorbimento intestinale e dell’escrezione urinaria dello stesso. Dopo aver sottoposto per 35 giorni, topi con insufficienza renale cronica (indotta da una dieta allo 0.75% di adenina) a una dieta con citrato ferrico (1 o 3%), erano ridotti sia i livelli sierici di fosforo, sia i prodotti calcio-fosforo sia il contenuto di calcio in aorta. Erano anche diminuiti i livelli sierici di PTH e l’incidenza e la gravità dell’iperplasia delle ghiandole paratiroidi. Questo si associava anche ad una riduzione della fibrosi, della porosità e delle formazioni osteoidi nell’osso femorale [26].

Studi clinici

È stato condotto uno studio di fase 2 in aperto su pazienti in emodialisi per valutare a breve termine la sicurezza, la tollerabilità e l’assorbimento di citrato ferrico quando utilizzato come chelante del fosforo. Sono stati arruolati 55 pazienti in due tempi. I pazienti hanno interrotto la loro precedente assunzione di chelanti e hanno iniziato un trattamento o con 4.5g/die di citrato ferrico (periodo 1), o con 6 g/die (periodo 2); sono stati monitorati per 4 settimane, al fine di mantenere i livelli di fosforo tra 3.5 e 5.5 mg/dL. Il citrato ferrico venne ben tollerato. Alla fine delle 4 settimane la dose media di citrato ferrico dei pazienti era 7.1± 2.4 g/die. Il fosforo medio basale durante la terapia precedente era 5.9 ± 1.4 mg/dL, e non era significativamente differente alla quarta settimana di trattamento con citrato ferrico (5.4±1.4 mg/dL). Tra gli effetti collaterali gastrointestinali vi furono alterazione del colore delle feci (69%), costipazione (15%) e gonfiore (7%). I principali parametri del profilo marziale (sideremia, ferritina e saturazione della transferrina) aumentarono significativamente al termine del follow-up [27] .

Sono stati recentemente pubblicati tre studi prospettici randomizzati di fase 3, che mettono a confronto l’efficacia e la sicurezza del citrato ferrico nel controllo del fosforo, in pazienti in emodialisi. Il primo studio ha indagato la relazione dose-risposta e la sicurezza del citrato ferrico (JTT-751) tra i pazienti giapponesi in emodialisi. Questo studio multicentrico, randomizzato, controllato con placebo, in doppio cieco, a gruppi paralleli e comparativo, ha

coinvolto 192 soggetti con livelli di fosforo sierico tra 6.1 e 10.0 mg/dl [21]. I pazienti sono stati randomizzati per ricevere il citrato ferrico (1.5, 3 o 6 g/die) oppure il trattamento con placebo, per 28 giorni. I livelli sierici di fosforo si sono significativamente ridotti in maniera dose dipendente fino a 6 g/die. Nell’analisi completa, il cambiamento medio dei livelli di fosforo sierico a 4 settimane è stato 0.04, -1.28, -2.16 e -4.10 mg/dL rispettivamente per i soggetti trattati con placebo, 1.5-, 3- e 6 g/die. Complessivamente, una riduzione dei livelli sierici di fosfato sotto i 5.5 mg/dL è stata raggiunta in 2.5, 16.7, 50.0 e 92.6% di soggetti, nei gruppi placebo 1.5-, 3- e 6- g/die, rispettivamente. I più comuni effetti collaterali furono lievi e di natura gastrointestinale. In 25 pazienti il trattamento venne interrotto a causa dell’aumento della saturazione della transferrina ≥50%; tuttavia, questa non fu considerata come un limite alla sicurezza [21].

Il secondo fu uno studio clinico prospettico, multicentrico, in aperto e randomizzato, condotto su 151 pazienti in mantenimento emodialitico con iperfosforemia. È stata assunta per via orale una dose fissa di citrato ferrico come chelante del fosforo, per 28 giorni (1, 6 o 8 g/die). L’outcome primario fu la dose-risposta del citrato ferrico sui livelli sierici di fosforo; outcomes secondari furono sicurezza e tollerabilità. I livelli basali medi di fosforo erano superiori a 7mg/dL in tutti i gruppi. La fosforemia si ridusse in maniera dose-dipendente (cambiamento medio alla fine del trattamento, -0.1±1.3 mg/dL nel gruppo con 1 g/die, -1.9±1.7 mg/dl nel gruppo con 6 g/die, -2.1±2.0 mg/dL nel gruppo con 8 g/die). La differenza media nella riduzione dei livelli di fosforo tra i gruppi con 6- e 1- g/die fu 1.3 mg/dL (95% CI 0.69-1.9; P< 0.001). L’effetto collaterale più comune fu l’alterazione del colore delle feci [22].

In un terzo studio di fase 3, multicentrico, in aperto, a gruppi paralleli, un totale di 230 pazienti con fosfato sierico ≥ 1.97 e < 3.23 mmol/L fu randomizzato per un trattamento con citrato ferrico (dosi tra 1.5 e 6.0 g/die) o sevelamer idrocloruro (dosi fra 3.0 e 9.0 g/die), per 12 settimane. L’outcome primario era ottenere alla fine del trattamento un cambiamento del fosforo sierico rispetto ai valori di partenza. Gli outcomes secondari includevano cambiamenti del calcio sierico corretto e del PTH. Outcomes supplementari erano cambiamenti di ferritina, saturazione della transferrina e dosi di agenti stimolanti l’eritropoiesi (ESA). I cambiamenti dei livelli di fosforo sierico alla fine del trattamento furono -0.82 mmol/L nel gruppo con JTT-751, e -0.78 mmol/L nel gruppo con sevelamer, stabilendo una non-inferiorità del citrato ferrico rispetto al sevelamer. Il calcio sierico corretto aumentò e il PTH diminuì in entrambi i gruppi; le differenze tra i due gruppi erano simili. In entrambi i gruppi i principali effetti collaterali furono disturbi gastrointestinali; l’incidenza di diarrea risultò maggiore con citrato ferrico, mentre la costipazione ricorreva frequentemente nel gruppo con sevelamer. Il trattamento con citrato ferrico produsse significativi aumenti di ferritina e saturazione della transferrina [23] (full text).

In un altro studio prospettico, in doppio cieco, controllato vs placebo, randomizzato, portato avanti in cinque ospedali di Taiwan, 166 pazienti in emodialisi completarono lo studio di 56 giorni. I livelli di fosforo sierico si ridussero, mentre i livelli di ferritina e la saturazione della transferrina aumentarono significativamente in entrambi i gruppi con 4 e 6 g/die di citrato ferrico (P<0.05 per 4 e 8 settimane). I principali effetti collaterali andavano da lievi a moderati ed erano pressoché equivalenti nei tre gruppi [24].

In un altro studio randomizzato, 441 soggetti in dialisi furono randomizzati con citrato ferrico o con controllo attivo, in un periodo di controllo attivo di 52 settimane, seguito da un periodo di controllo con placebo di 4 settimane, in cui i soggetti con citrato ferrico, che completarono il periodo di controllo attivo, furono ri-randomizzati verso citrato ferrico o placebo. Le prime analisi compararono il cambiamento medio di fosforo tra citrato ferrico e placebo nel corso del periodo di controllo con placebo. Una strategia di filtro sequenziale fu utilizzata per controllare, nel contesto di tutto lo studio, gli errori di tipo 1 per ferritina sierica, saturazione della transferrina, ferro endovenoso e l’uso di agenti stimolanti l’eritropoiesi come outcomes secondari prestabiliti nel periodo di controllo attivo. Il citrato ferrico controllò meglio la fosforemia rispetto al placebo, con una differenza media di trattamento di -2.2±0.2 mg/dL (media ± SEM) (P<0.001). Nel periodo di controllo attivo, il fosforo era simile sia nel citrato ferrico che nel controllo attivo, con profili di sicurezza equiparabili. I soggetti trattati con citrato ferrico raggiunsero parametri medi di ferro più elevati [ferritina = 899 ± 488 ng/mL (media ± SD); saturazione della transferrina = 39 ± 17%] rispetto ai soggetti in controllo attivo [ferritina = 628 ± 367 ng/mL (media ± SD); saturazione della transferrina = 30 ± 12%; P<0.001 per entrambi]. I soggetti in terapia con citrato ferrico ricevettero meno ferro elementare endovena (mediana = 12.95 mg/settimana citrato ferrico; 26.88 mg/settimana controllo attivo; P<0.001) e meno agenti stimolanti l’eritropoiesi (mediana epoietina-unità equivalenti a settimana: 5306 unità/settimana con citrato ferrico; 6951 unità/settimana nel controllo attivo; P = 0.04). I livelli di emoglobina furono statisticamente più alti con citrato ferrico. Quindi, il citrato ferrico è un chelante del fosforo sicuro ed efficace, in grado di aumentare i depositi marziali ed in grado di ridurre l’utilizzo del ferro per via endovenosa e di agenti stimolanti l’eritropoiesi, poiché mantiene nella norma i livelli di emoglobina [25] (full text).

Studi farmacoeconomici

Uno studio costo-efficacia secondo una prospettiva di managed-care di Mutell et al. [28] [28] (full text) dimostrò il potenziale di riduzione dei costi ottenibile con l’uso del citrato ferrico rispetto ad altri chelanti del fosforo di quello studio, fu fatta una proiezione di riduzione del costo mensile di ESA dell’8.15% e del costo di ferro endovenoso del 33.2%. Una simulazione dimostrò una riduzione mensile di 160 dollari americani nel costo complessivo di dialisi per paziente con l’utilizzo del citrato ferrico. In un altro studio venne modellata la proiezione di riduzione dei costi per ESA e ferro in ESRD, basata sull’uso di citrato ferrico come agente chelante del fosforo. Si riscontrò che l’utilizzo di citrato ferrico può portare ad una riduzione del 20% nell’utilizzo di ESA e in una riduzione del 40% nell’uso di ferro endovena, con un risparmio di 0.9-1.1 miliardi di dollari americani [29] (full text). Attualmente, il ferro endovena e gli ESA sono parte della spesa dialitica negli Stati Uniti, mentre i chelanti del fosforo sono pagati da assicuratori privati, Medicare parte D o dai pazienti. Quindi, la riduzione dei costi sarebbe a vantaggio delle unità di dialisi, mentre il costo della terapia con chelanti del fosforo (citrato ferrico) sarebbe a carico dei pazienti.

Il citrato ferrico potrebbe essere più adatto per il trattamento cronico dell’iperfosforemia nei pazienti con CKD, che necessitano di supplementi di ferro, tuttavia il suo utilizzo potrebbe produrre effetti negativi come l’aumentato rischio di assorbimento di alluminio, dato dalla presenza di citrato nel sale [30] (full text).

Ossi-idrossido sucroferrico (PA21 – Velphoro®)

L’ossi-idrossido sucroferrico è un chelante del fosforo a base di ferro, privo di calcio, sviluppato dalla Vifor Pharma che è stato recentemente approvato dalla FDA americana per il trattamento dell’iperfosforemia nei pazienti con CKD in dialisi. Nel giugno 2014, il Comitato per i Medicinali ad uso Umano (CHMP) dell’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) ha espresso parere positivo, raccomandando la commercializzazione di questo chelante del fosforo. Nella Tabella 3 [31] (full text) [32] (full text) sono riassunti gli studi pubblicati a riguardo.

Studi su animali

In topi uremici è stata testata l’efficacia di PA21, ossi-idrossido sucroferrico, sia nel controllo dei livelli di calcemia e fosforemia sia nella prevenzione delle calcificazioni vascolari. Topi con insufficienza renale cronica indotta da una dieta ricca di adenina sono stati randomizzati per ricevere con la dieta PA21 0.5, 1.5 o 5% o CaCO3 3% per quattro settimane, e sono stati comparati a gruppi controllo sia di topi uremici sia di topi non uremici. Dopo quattro settimane di terapia con chelante del fosforo i livelli di fosfato sierico sono risultati ridotti nei topi trattati con CaCO3 3%, PA21 1.5% e PA21 5% rispetto ai controlli con insufficienza renale cronica. Il PTH intatto è risultato fortemente diminuito in maniera simile nei topi trattati con PA21 5% e CaCO3% rispetto ai controlli con insufficienza renale cronica. Nei topi trattati con PA21 5% è stata rilevata una concentrazione sierica di FGF-23 inferiore a quelli trattati con CaCO3 3% e ai gruppi controllo. I topi uremici trattati con PA21 5% avevano uno score di calcificazione vascolare minore in confronto a quelli trattati con CaCO3 3% e ai controlli con insufficienza renale cronica [33].

Studi sulla capacità di legare fosfati

L’agente PA21, a base di ferro, ha un’alta affinità per i fosfati in vitro. L’assorbimento del fosforo e il rilascio del ferro sono stati valutati in condizioni che simulassero l’assunzione di PA21 a stomaco vuoto e a stomaco pieno, e quindi in un range di pH corrispondente a quello al quale PA21 sarebbe esposto durante il passaggio nel canale gastro-enterico. PA21 ha mostrato una forte capacità di legare i fosfati a tutti i valori di pH del range fisiologico. L’alta affinità di legame a bassi pH indica che il legame con i fosfati potrebbe cominciare nello stomaco. In questo ambito sperimentale il massimo rapporto di legame fosfati/ferro era stato 0.47 mmol P/mmol Fe. La maggior parte del rilascio di ferro avveniva in assenza di fosforo ai valori di pH minori, e diminuiva molto in presenza dello stesso. Questi risultati sono coerenti con la formazione di fosfato di ferro a pH bassi, come indicato dalla spettroscopia fotoelettronica a raggi X e dalle stime termodinamiche. Il rilascio di ferro risultava minimo (≤ 0.35%) a pH compresi tra 2.5 e 8.5. Questi studi hanno dimostrato che PA21 ha un’elevata capacità di legare i fosfati e uno scarso rilascio di ferro nel range di pH fisiologicamente riscontrabile nel tratto gastro-enterico [34].

Studi sull’assorbimento di ferro

È stato condotto uno studio per indagare l’assorbimento di ferro dopo somministrazione orale di PA21, e quindi identificare potenziali rischi di sovraccarico marziale in ambito clinico, nonché per verificare l’effetto di PA21 sui livelli di fosfato serico prima di passare a trials più estesi e per periodi di trattamento più lunghi. In questo studio in aperto, di fase I, è stato somministrato PA21 10 g/die per 7 giorni a 8 pazienti con CKD non dializzati (stadi III e IV), 8 pazienti in emodialisi e 8 soggetti sani. Inoltre, è stata somministrata una singola dose di PA21 radiomarcata per determinare l’uptake di ferro. L’uptake mediano fu 0.06% (0.008-0.44%) nei pazienti con CKD non dializzati, 0.02% (0-0.04%) nei pazienti in emodialisi e 0.43% (0.16-1.25%) nei soggetti sani [35].

Studi clinici

Per determinare il range di dosi attive è stato intrapreso uno studio randomizzato, con controllo attivo, in aperto, multicentrico, coinvolgente 50 centri in Europa e Stati Uniti.

Pazienti in emodialisi sono stati randomizzati per ricevere PA21 a dosaggi di 1.25, 5, 7.5, 10 o 12.5 g/die o sevelamer-HCl 4.8 g/die per sei settimane. Come endpoint primario per valutare l’efficacia del farmaco è stata considerata la variazione dei livelli di fosfato sierico dal basale. I partecipanti allo studio furono 154, i quali vennero randomizzati e trattati. Tutti i gruppi, eccetto quello con PA21 1.25 g/die, mostrarono una riduzione significativa del fosfato serico. La variazione media dei livelli di fosfato serico fu -2.00 ± 1.71 mg/dL nei pazienti trattati con PA21 10 g/die, e -1.69 ± 1.81 mg/dL nei pazienti trattati con PA21 12.5 g/die. I pazienti trattati con sevelamer-HCl (-1.06 ± 1.35 mg/dL), PA21 5.0 g/die (-1.08 ± 2.12 mg/dL) e PA21 7.5 g/die (-1.25 ± 1.21 mg/dL) ebbero riduzioni della fosforemia simili tra loro. Complessivamente furono riferiti un numero di effetti avversi ≥ 1 dal 60.9% dei partecipanti trattati con PA21 e dal 57.7% dei partecipanti trattati con sevelamer-HCl. Gli effetti avversi più frequenti furono ipofosfatemia (18.0%) e feci di colore alterato (11.7%) nei gruppi con PA21, e diarrea, ipofosfatemia e ipotensione (11.5% ciascuno) per i soggetti con sevelamer-HCl. La sospensione della terapia a causa degli effetti avversi si verificò in una percentuale di partecipanti pressoché simile tra quelli trattati con PA21 (21.1%) e quelli trattati con sevelamer-HCl (23.1%). PA21 5-12.5 g/die riduce in modo significativo la fosforemia nei pazienti in emodialisi. I dosaggi 5 g/die e 7.5 g/die mostrarono efficacia simile al sevelamer-HCl 4.8 g/die [31] (full text).

L’efficacia di PA21 è stata confrontata con quella di sevelamer carbonato in uno studio in aperto, randomizzato, con controllo attivo, di fase III. 707 pazienti in emodialisi e in dialisi peritoneale, con iperfosfatemia, sono stati trattati con PA21 1.0-3.0 g/die, mentre 348 pazienti furono trattati con sevelamer 4.8-14.4 g/die per 8 settimane di titolazione della dose, seguite da 4 settimane a dosaggio fisso e 12 settimane di mantenimento. La riduzione del fosforo serico alla dodicesima settimana fu -0.71 mmol/L con PA21 e -0.79 mmol/L con sevelamer, dimostrando quindi la non-inferiorità di una media di 3 pastiglie di PA21 rispetto a 8 pastiglie di sevelamer. L’efficacia fu mantenuta fino alla ventiquattresima settimana. La non-aderenza al trattamento fu del 15.1% (PA21) rispetto a 21.3% (sevelamer). La percentuale di pazienti che ha riferito almeno un effetto avverso comparso dall’inizio del trattamento fu dell’83.2% con PA21 e del 76.1% con sevelamer. La percentuale di pazienti che ha sospeso la terapia a causa degli effetti avversi fu maggiore nel gruppo trattato con PA21 (15.7%) rispetto a sevelamer (6.6%). Nel trattamento con PA21 furono più frequenti diarrea lieve e transitoria, feci di colore alterato e iperfosfatemia; nel trattamento con sevelamer nausea e costipazione. Dopo 24 settimane, 99 pazienti in emodialisi in terapia con PA21 sono stati ri-randomizzati per un’analisi di 3 settimane, con lo scopo di valutare la superiorità della dose di mantenimento di PA21 in 50 pazienti, rispetto a un basso dosaggio [250 mg/die (ineffective control)] in 49 pazienti. La dose di mantenimento di PA21 fu superiore, rispetto al basso dosaggio, nel tenere controllata la fosforemia. Quindi PA 21 si dimostrò efficace nel ridurre i livelli di fosforo sierico nei pazienti dializzati, con un’efficacia paragonabile a sevelamer bicarbonato, con un carico di pastiglie inferiore e con una migliore aderenza terapeutica [32] (full text).

Spesso i pazienti con insufficienza renale cronica hanno comorbidità multiple, le quali necessitano l’assunzione quotidiana di diversi medicinali. Per questo sono stati intrapresi degli studi per indagare le potenziali interazioni farmacologiche tra l’ossi-idrossido sucroferrico e alcuni dei farmaci più comunemente assunti dai pazienti dializzati. Tramite cinque studi monocentrici di fase I, in aperto, randomizzati, cross-over su tre periodi, in volontari sani, sono stati indagati gli effetti di una singola dose di ossi-idrossido sucroferrico 1 g (in base al contenuto di ferro) sulla farmacocinetica di losartan 100 mg, furosemide 40 mg, omeprazolo 40 mg, digossina 0.5 mg e warfarin 10 mg. Sono stati determinati i parametri farmacocinetici di questi farmaci [compresa l’area sottesa alla curva concentrazione-tempo (AUC) dal tempo 0 estrapolata al tempo infinito (AUC0-∞) e da 0 a 24h (AUC0-24)] sia assunti da soli a stomaco pieno, sia assunti insieme all’ossi-idrossido sucroferrico a stomaco pieno, sia a 2h dall’assunzione di cibo e di ossi-idrossido sucroferrico. L’esposizione sistemica al farmaco calcolata in base a AUC0-∞ e a AUC0-24per tutti i farmaci, eccetto l’omeprazolo (per il quale è stata misurata AUC 0-8 h), non fu alterata in modo significativo dalla presenza di ossi-idrossido sucroferrico, indipendentemente dal fatto che fosse somministrato insieme al farmaco o 2 h prima. C’è un basso rischio di interazioni farmacologiche tra l’ossi-idrossido sucroferrico e losartan, furosemide, digossina e warfarin, e anche con omeprazolo (stimato dai valori di AUC0-∞). Pertanto l’ossi-idrossido sucroferrico può essere somministrato in concomitanza con questi farmaci e senza il bisogno di variarne il dosaggio [36].

In conclusione va ricordato che l’utilizzo di Velphoro in pazienti diabetici, in particolare in quelli in trattamento dialitico peritoneale, potrebbe interferire con il dosaggio della glicemia capillare, in quanto alcuni dei disaccaridi contenuti nel Velphoro possono essere metabolizzati a glucosio, fruttosio e maltosio.

Conclusioni

Sia il citrato ferrico che l’ossi-idrossido sucroferrico sono efficaci chelanti del fosforo, non inferiori ai chelanti attualmente in uso. Nel trattamento dell’iperfosforemia nei pazienti con insufficienza renale cronica che necessitano anche di supplementazione marziale, il citrato ferrico risulta essere più adatto; tuttavia il suo utilizzo potrebbe essere ostacolato dal potenziale assorbimento di alluminio. L’ossi-idrossido sucroferrico, invece, è più adatto a pazienti con insufficienza renale cronica e iperfosforemia, che non necessitano di supplementazione marziale, con il grosso vantaggio di una riduzione del carico di pillole giornaliere.

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Tabella 1
Caratteristiche principali dei chelanti del fosforo intestinali a base di ferro

Nome Composizione Dose giornaliera raccomandata Numero medio di pillole al giorno Principali effetti collaterali Pro/Contro Compagnia farmaceutica
VELPHORO

PA21

ossidrossido sucroferrico 1500 mg 3 pillole/die Diarrea con feci di colore alterato, nausea Ferro non assorbito Vifor (Fresenius)
ZERENEX

JTT-751

citrato ferrico

complesso di coordinazione

6000 mg 6 pillole/die Diarrea con feci di colore alterato, nausea Ferro assorbito, assorbimento alluminio, ferritina elevata Keryx-Bio farmaceutica
ALPHAREN

Fermagate

SBR-759

PT20

Ferro-magnesio idrossicarbonato

Ferro polimerico

3000 mg 3 pillole/die Gastrointestinali, feci di colore alterato Aumento livelli sierici di magnesio Shire

Novartis

Phosfate terapeutics

Tabella 2
Riassunto delle pubblicazioni dei trials con citrato ferrico

Autore/Giornale anno Fase studio Soggetti reclutati Comparato a Durata Risultati principali
Yokoyama K

Am J nephrol [21]

2012 Dose-risposta 192 Placebo 28 giorni Pi ridotto è dose dipendente fino a 6g/die; Pi<5.5 nel 50% con 3g/die
Dwyer Jp

Am J Kid Dis [22]

2013 Dose-risposta 151 Nessuno 28 giorni FC 6g/die riduce Pi -1.9±1.7 mg/dL e 8g/die, -2.1±2.0 mg/dL
Yokoama K

Nephrol Dial Transp [23]

2014 III 230 Sevelamer HC 3-9 g/die 12 settimane Pi -0.82 mmol/L con FC e -0.78 con Sevelamer (non inferiorità) con aumento di ferritina e sat transferrina
Lee CT

Nephrol [24]

2014 III 166 Placebo 8 settimane Pi ridotto con 4 e 6 g/die; aumento di ferritina e sat transferrina
Lewis JB

JASN [25]

2014 III 441 Controllo attivo e placebo 52 settimane Pi -2.2 md/dL rispetto al placebo e simile al controllo attivo ma più alti parametri medi di ferro con meno ferro EV
Tabella 3
Riassunto dei trials pubblicati con ossi-idrossido sucroferrico

Autore/Giornale anno Fase di studio Soggetti reclutati Comparato a Durata Risultati principali
Wuthrich RP Clin JASN 2013 [31] Ricerca della dose 154 Sevelamer HC 4.8g/die 6 settimane Sevelamer 4.8g/die

Pi -1.06±1.35mg/dL;
PA21 5 g/die Pi -1.08±2.12mg/dL

Floege J Kidney Int 2014 [32] III 1055

(emodialisi e dialisi peritoneale)

Sevelamer carbonato 24 settimane

(8 settimane di titolazione; 4 settimane senza cambio di dose; 12 settimane di mantenimento)

A 12 settimane PA21 Pi -0.71 mmol/L versus -0.78 sevelamer (non-inferiorità)

PA21 3pastiglie vs sevelamer 8 pastiglie