Tossici ambientali e tossicità renale diretta da farmaci: erbe e piante

Abstract

La medicina tradizionale rappresenta un metodo di cura assai diffuso nel mondo. Nonostante il riscontro da parte dell’WHO di una progressiva diffusione degli organismi nazionali deputati al controllo della produzione e distribuzione dei fitoterapici, il rischio di loro effetti collaterali tossici risulta elevato anche se la reale incidenza non è nota. Questi rischi conseguono in gran parte all’autoprescrizione sostenuta dal presupposto che ciò che è naturale non è pericoloso per la salute. Il fatturato dell’industria fitoterapica è in progressivo aumento favorito dalla facilità con cui i prodotti possono essere acquistati senza ricetta medica nelle farmacie di alcuni paesi oppure online.

In particolare, le erbe cinesi possono essere nefrotossiche e i clinici dovrebbero considerare la possibilità di un loro ruolo in alcuni casi di AKI o CKD a genesi misconosciuta. Inoltre, nella raccolta dell’anamnesi farmacologica dei pazienti affetti da CKD o trapiantati di rene è necessario escludere l’ assunzione di alcuni fitoterapici di uso comune che possono risultare controindicati per possibili interazioni con farmaci della medicina convenzionale.

Parole chiave : medicina tradizionale, fitoterapia, erbe cinesi, Acido Aristolochico, nefrotossicità.

Introduzione

In base ai dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) la Medicina Tradizionale (MT) e la Medicina Complementare (MC) rappresentano oggi il principale trattamento medico essendo utilizzate dall’88 % della popolazione mondiale, soprattutto nei paesi in via di sviluppo [1].

La WHO riconosce 9 tipi di MT e MC: l’agopuntura, la medicina ayurvedica, la chiropratica, l’omeopatia, la naturopatia, la medicina a base di erbe, l’osteopatia, la medicina tradizionale cinese e la medicina unani.

Nel report della WHO, oltre alla MT e MC, viene introdotto il concetto di Medicina Integrativa (MI) che ha lo scopo di fondere le conoscenze e la pratica della MT e MC con la medicina convenzionale. Dal 1999 al 2018 in gran parte dei 194 Stati Membri mondiali, inclusi in 6 Regioni (Regione Africana, Americana, Mediterranea, Europea , Sud Est Asiatico e Pacifico dell’Ovest) , si è riscontrata una progressiva introduzione sia di una politica specifica che di commissioni di esperti dedicati al controllo e alla sicurezza della MT e della MC.

Come detto, la fitoterapia è uno dei 9 tipi di MT. Il termine fitoterapia deriva dal greco phyton (pianta), therapeia (cura). L’utilizzo delle piante a scopo curativo risale a migliaia di anni or sono. Ad esempio la Serenoa Repens (saw palmetto), ancora disponibile in commercio, veniva utilizzata dagli egiziani per la cura dei disturbi urinari conseguenti all’ipertrofia prostatica già nel XV secolo A.C. [2].

Il fatturato annuo dell’industria fitoterapica è in continuo aumento nel mondo. Nel 2012 negli USA, solo per i prodotti a base di erbe cinesi (EC), è stato stimato essere pari a 83.1 bilioni di dollari, un incremento del 20% rispetto agli anni precedenti.

Sempre secondo il report della WHO [1], negli ultimi 20 anni sono progressivamente aumentati gli stati (134/194) che presentano un sistema di controllo della produzione dei fitoterapici, in alcuni casi sovrapponibile a quello riguardanti i farmaci convenzionali. Risulta in crescita anche il numero di nazioni che mettono in atto le good manufacturing practice (GMPs) (77 paesi nel 2005, 93 nel 2012) e sistemi di registrazione delle erbe medicinali. Se l’Europa rappresenta il continente con il maggior numero di paesi aventi un regolamento nazionale, l’Italia risulta non aver risposto al sondaggio per cui non vi sono dati disponibili.

Infine, per quanto riguarda i sistemi di vendita dei fitoterapici, prevale la dispensazione senza prescrizione medica tramite farmacie o altri outlets; solo al secondo posto risultano le farmacie con ricetta medica obbligatoria. La vendita libera da parte di terapisti, traditional practitioners e mercati privi di qualsiasi controllo (online, telemarketing oppure on street) appare fortunatamente in lieve calo rispetto al passato. Nonostante ciò l’autoprescrizione è un fenomeno assai diffuso per cui il Medico di Medicina generale e lo specialista devono raccogliere un’attenta anamnesi farmacologica al fine di evidenziare potenziali interazioni tra “tossici” non dichiarati (erbe comprese) o prevenire complicanze emorragiche in corso di una procedura interventistica (esempio in nefrologia cateterismi venosi, biopsie renali) o di un intervento chirurgico.

La diffusione dell’uso dei prodotti a base di erbe ha comportato un’aumentata segnalazione dei loro effetti indesiderati. Un’osservazione interessante consiste nel fatto che non tutte le persone che utilizzano EC sviluppano complicanze renali. La tossicità può dipendere, infatti, sia dai costituenti chimici della pianta (fattori intrinseci) che dalla presenza di contaminanti (fattori estrinseci) quali i metalli pesanti (piombo, mercurio e cadmio), pesticidi, erbicidi, microorganismi, tossine microbiche (aflatossine) e isotopi radioattivi. Processi non corretti di conservazione o pretrattamento fisico-chimico (adulterazione) delle EC possono causare nefrotossicità. Recentemente sono stati descritti casi di AKI e CKD in seguito all’utilizzo di prodotti a base di Carthamus Tinctorius (erba utilizzata come purgante, antipiretico, analgesico) contaminati da Auramina O. Si tratta di un colorante carcinogeno industriale non commestibile che esalta le caratteristiche cromatiche simil-zafferano del cartamo permettendo una vendita a prezzo maggiore [3]. Infine, il danno tossico da fitoterapici può dipendere da fattori legati al paziente, quali il sesso e l’età oltre alle comorbidità (malattie renali croniche, allergie) [4].

Collegandosi al sito https://nccih.nih.gov/ è possibile accedere alla banca dati americana del National Center of Complementary and Integrative Health (NCCIH), istituzione nata negli anni ’90. Rapidamente si possono avere informazioni riguardanti tutti i trattamenti , elencati in ordine alfabetico dalla “a” alla “z” (dall’agopuntura allo zinco), utili sia per i consumatori che per i professionisti della salute con possibilità di consultare le pubblicazioni scientifiche e gli studi randomizzati controllati relativi all’argomento d’interesse.

Aggiornamenti in materia si possono ottenere anche dalla European Medicines Agency (EMA) collegandosi al sito https://www.ema.europa.eu/en.

Focalizzaremo ora l’attenzione su alcune piante che possono direttamente causare nefropatia ed altre in grado di determinare pericolose interazioni farmacologiche con conseguenti pericoli per la salute dei pazienti.

 

Nefrotossicità da preparati a base di erbe cinesi

L’incidenza della nefrotossicità indotta dalle EC non è nota in quanto gli eventi avversi sono documentati prevalentemente tramite case reports o series. Questa scarsità di dati determina una falsa sensazione di rarità di eventi.

I principali costituenti nefrotossici delle EC sono gli acidi aristolocici (AA) e i composti alcaloidi ( 5, 6). Gli AA rappresentano una famiglia di fitochimici cancerogeni, mutageni e nefrotossici e derivano da piante quali l’Aristolochia Contorta Bunge, l’Aristolochia Manshuriensis Kom, la Clematis Chinensis Osbeck , la Aristolochia Cathcartii Hook. Anche l’Asarum heterotropoides appartiene alla famiglia delle Aristolochiaceae e contiene AA in percentuali diverse a seconda delle varie parti della pianta. La radice dell’Asarum (Asari radix e Rhizoma) presenta basse concentrazioni di AA e pertanto non risulta tossico per il trattamento delle cefalee o di stati infiammatori mentre la pianta intera (Asarum plant), in particolar modo fiori e gambo, ne contiene elevate concentrazioni risultando altamente tossica [3]. L’AA gioca un ruolo patogenetico importante anche nella nefropatia endemica dei Balcani (BEN) che non risulta però oggetto di trattazione. Gli alcaloidi nefrotossici sono derivati dal Tripterygium regelii Sprague e Takeda, dalla Stephania Tetranda S. Moore, dallo Strychnos nux-vomica Linn e dall’Aconitum carmichaeli Debx. In aggiunta, le EC possono contenere antrachinoni, flavonoidi e glicosidi nefrotossici. I prodotti a base di EC sono considerati più pericolosi rispetto ad altri rimedi tradizionali perché costituiti da misture di diversi elementi, spesso associati alla presenza di metalli pesanti (es. arsenico, cadmio, mercurio).

Le possibili manifestazioni della nefrotossicità da EC sono l’AKI, la CKD, la nefrolitiasi, la rabdomiolisi, la sindrome di Fanconi e il carcinoma uroteliale.

 

AKI

In molti pazienti la causa di AKI non è nota. Nei soggetti biopsiati sono stati osservati casi di necrosi tubulare acuta (NTA) o di nefrite interstiziale acuta (NIA) [7, 8].

I flavonoidi sono composti idrosolubili, polifenolici delle piante superiori. In Cina sono molto utilizzati per la cura del diabete (ad esempio Taxus Celebica che contiene la sciadopitisina) ma anche in Europa vengono commercializzati centinaia di prodotti indicati per la terapia della fragilità vascolare e di malattie epatiche

Nel 1994 Lin [7] descrisse 2 pazienti con AKI da sciadopitisina. Alla biopsia renale il quadro istologico evidenziava una NIA con NTA. Lee [8] riportò il caso di una paziente che sviluppò insufficienza epatica acuta, anemia emolitica autoimmune con trombocitopenia dopo l’ingestione di un estratto d’acqua calda di Cupressus funebris Endl , ricco in flavonoidi. La biopsia renale evidenziò NTA, NIA e casts emoglobinici. Un altro case report riporta una reazione da ipersensibilità in seguito all’assunzione di frutti e thè (ottenuto dalle foglie) di Crataegus Orientalis (9), detto anche Biancospino dell’Anatolia, ricco in flavonoidi. Clinicamente il paziente presentava citolisi epatica e AKI da NIA.

Infine, Zangh [10] descrisse 6 casi di NTA da andrografolide (principale costituente della Andrographis paniculata , nome vernicolare chuan xin lian) somministrata per via endovenosa, ampiamente utilizzata in Cina per il trattamento delle infezioni delle vie respiratorie e della dissenteria. Il meccanismo di tossicità renale non risulta ancora noto.

 

CKD

L’AA è il principale responsabile della CKD.

Le prime segnalazioni di CKD da nefropatia interstiziale a rapida evoluzione risalgono al 1993 e riguardano 9 donne sottoposte a regime dietetico a Bruxelles [11]. Le pillole dovevano contenere polveri di radici di Stefania tetranda e Magnolia officinalis, raccolte in Cina e quindi distribuite alle farmacie del Belgio senza essere sottoposte ad alcun controllo. Il sospetto di una nefropatia da AA (NAA) fu confermato nel 1996 grazie alla dimostrazione con l’HPLC (High Performance Liquid Chromatography) della presenza degli AA I e II nella miscela dietetica nonché degli addotti DNA-AAI nel tessuto renale dei pazienti uremici biopsiati. Si comprese che vi era stato un tragico errore nei costituenti delle pillole conseguente all’utilizzo dei nomi vernacolari da parte della popolazione indigena deputata alla raccolta delle erbe. Essendo molto simili tra loro (Han Fan Ji per la Stefania tetranda, Guan Fan Ji per l’Aristolochia fangchi) la Aristolochia era stata utilizzata al posto della Stefania. Nel 1998 il numero di pazienti affette da NAA in Belgio salì da 9 a 128, gran parte delle quali giunse all’uremia [12] . Anche in questa situazione colpì il fatto che solo una parte delle donne trattate sviluppò la nefropatia. Nel 2008 lo stesso autore belga definì la NAA come un “problema mondiale”, decisamente sottostimato se riferito alla popolarità della Medicina Tradizionale in paesi come l’India, Taiwan, Cina e Giappone [12, 13, 14].

Gli erboristi taiwanesi, consumatori dei loro prodotti, risultano ad elevato rischio di morte per neoplasie del rene e delle vie urinarie rispetto alla restante popolazione [15]. La loro preparazione si basa su una cultura esclusivamente familiare, tramandata di generazione in generazione.

Il quadro clinico tipico della NAA è caratterizzato da CKD a rapida evoluzione in uremia, proteinuria tubulare, normotensione arteriosa, anemizzazione. Nel 30-50% dei casi è’ stata descritta una insufficienza aortica da fenfluramina (aggiunta a scopo anoressizzante) non reversibile con la sospensione del trattamento e con il trapianto di rene [16]. Il quadro istologico renale evidenzia estesa fibrosi interstiziale ed atrofia tubulare in assenza per lo più di infiltrati infiammatori interstiziali. Nei rari casi in cui quest’ultimi sono stati evidenziati , si è supposto un ulteriore meccanismo immunologico di danno e il trattamento steroideo ha permesso un rallentamento dell’evolutività dell’IR [17]. I glomeruli si presentano ischemici, collassati con raggrinzimento delle membrane basali glomerulari.

Altra espressione clinica della NAA è rappresentata dalla sindrome di Fanconi che si manifesta prevalentemente nella popolazione del Giappone , Taiwan e Corea [18]. Infine, è stata descritta una NTA a progressivo decorso verso l’uremia determinata dall’Aristolochia manshuriensis Kom (Guanmutong o GMT) molto utilizzata in Cina, ma anche negli USA e in Europa, per patologie urinarie e cardiovascolari . Questa forma di NTA è particolarmente grave in quanto non presenta segni di rigenerazione cellulare e si associa ad un danno delle cellule endoteliali dei capillari peritubulari [19].

Nel 2002 la International Agency for Research on Cancer (IARC) ha dichiarato l’AA ( in modo particolare l’AAI) carcinogeno per l’urotelio (20) in quanto circa la metà dei pazienti affetti da NAA sviluppa neoplasie uroteliali a distanza di 2-6 anni dall’assunzione di AA. Anche i pazienti colpiti da BEN hanno una mortalità specifica per carcinomi dell’urotelio superiore di 50 volte rispetto al resto d’Europa [20, 21]. Le neoplasie possono essere più o meno invasive  e le sedi più colpite sono rappresentate dalla pelvi e dal  tratto lombare-addominale degli ureteri. Per tale motivo i pazienti affetti da NAA, candidati a trapianto di rene, devono essere sottoposti a nefroureterectomia preventiva; nonostante ciò si sono registrati alcuni casi di neoplasia vescicale a 15 anni dal trapianto.

Infine, sono stati descritti casi di nefrite interstiziale cronica conseguente all’utilizzo di pillole contenenti antrachinoni estratti dal rabarbaro (Rhizoma rhei) e di nefropatia cronica ipokaliemica associata con l’assunzione di Glycyrrhiza glabra (liquerizia) come sedativo della tosse [22 , 23]. La liquerizia ha determinato in alcuni casi, oltre alla nefropatia ipokaliemica, anche rabdomiolisi [22].

 

Nefrolitiasi

Tale complicanza non risulta frequentemente associata all’utilizzo di EC. Vi sono case reports [24, 25] che descrivono calcolosi costituita da efedrina, nor-efedrina e pseudoefredina in pazienti che hanno assunto a lungo pillole contenenti Ephedra sinica (ephedra/ma huang) per il trattamento di patologie delle vie respiratorie. Per tale motivo dal 2004 l’FDA ha proibito l’utilizzo di integratori alimentari contenenti ephedra negli Stati Uniti.

Sono stati descritti , inoltre, casi di ipertensione arteriosa, necrosi della papilla e ritenzione urinaria [26] . Anche in Iran è ancora diffuso l’utilizzo dei frutti delle piante del genere Aristolochi (bottae, olivieri e Hyrcana Davis) per la cura della cefalea, dei dolori al rachide, dell’ansia e a scopo disintossicante [26].

 

Possibili complicanze derivate dall’assunzione di alcuni prodotti fitoterapici nei pazienti nefropatici

Verranno prese in considerazione alcune erbe particolarmente utilizzate quali: I’Echinacea, il Ginkgo biloba , l’Erba di S. Giovanni, il Ginseng e l’Aglio.

a) Echinacea.
L’Echinacea (Echinacea Angustifolia, Echinacea purpurea) viene prescritta per la prevenzione delle malattie da raffreddamento e delle infezioni del tratto urinario. In Germania, dove è considerata farmaco etico, viene utilizzata anche per il trattamento della sindrome da affaticamento cronico. Ha un’azione immunostimolante aspecifica e le cellule bersaglio sono rappresentate da macrofagi, monociti, leucociti polimorfonucleati, linfociti T (T4,T8 e NK) . L’azione immunostimolante è dovuta sia alla frazione liposolubile che a quella idrosolubile come i derivati dell’acido caffeico , in particolare l’acido cicorico. L’ attività locale si basa sulla capacità dell’Echinacea di accelerare la rigenerazione tissutale e di localizzare l’infezione determinata principalmente dall’inibizione della jaluronidasi. L a somministrazione deve avvenire a cicli (consigliato un mese di trattamento seguito da 15 giorni di pausa per 3 volte) al fine di evitare l’epatotossicità da accumulo. Inoltre, è sconsigliata la prescrizione di Echinacea ai pazienti in trattamento con amiodarone e ketoconazolo. Con particolare riferimento ai pazienti nefropatici, inibendo il CYP3A4 , può aumentare i livelli sierici di farmaci come alprazolam, calcio antagonisti, inibitori delle proteasi e ridurre l’efficacia di immunosoppressori quali il tacrolimus e la ciclosporina [27]. Non deve, infine, essere prescritta a pazienti affetti da patologie autoimmunitarie (es. connettiviti).

b) Gingko biloba.
La pianta di Gingko è antichissima ; si rinviene in Cina dove è prescritta da millenni dagli erboristi locali per il trattamento sintomatico dell’insufficienza cerebrale lieve o moderata e delle arteriopatie periferiche, della malattia di Raynoud, dell’acrocianosi e delle vertigini di verisimile origine vascolare. Il suo utilizzo è decisamente aumentato anche in Europa, soprattutto in Germania dove è considerato farmaco etico e viene prescritto per il trattamento del Morbo di Alzheimer . Notoriamente il Gingko ha effetto antiossidante e riduce l’aggregazione piastrinica attraverso l’inibizione del PAF (Platelets Activating Factor) . Per le possibili complicanze emorragiche, anche cerebrali, non va somministrato a pazienti in terapia con anticoagulanti orali e antiaggreganti quali warfarina, ASA, FANS, ticlopidina, clopidogrel, aglio [28]. Inoltre, va assolutamente sospeso almeno 3-7 giorni prima di un intervento chirurgico [28].

c) Erba di S. Giovanni.

L’erba di S. Giovanni ( Hypericum perforatum, St. John’s wort) è una pianta ubiquitaria, così chiamata perché ha la massima fioritura il 24 giugno. Uno dei suoi principali costituenti è l’iperforina, inibitore dell’uptake della serotonina, della noradrenalina e della dopamina [29]. Trova indicazione nel trattamento delle depressioni lievi-moderate. Ha attività ansiolitica ed antiinfiammatoria. Come topico, l’olio di iperico viene prescritto per il trattamento di ferite e ulcerazioni della cute. Mentre in vivo l’iperico è un induttore di alcuni isoenzimi del citocromo P450 come il CYP3A4, in vitro sembra essere un inibitore. Particolare attenzione deve essere posta, pertanto, nei pazienti in terapia con ciclosporina e tacrolimus (glomerulonefriti, trapianto) in quanto ne riduce i livelli sierici [29]. Può ridurre a livelli sub-terapeutici anche la concentrazione di farmaci quali la digossina, l’omeprazolo, le statine, l’indinavir e altri antiretrovirali inibitori delle proteasi e della transcriptasi [29].

d) Ginseng.

Il Ginseng asiatico (Panax ginseng C.A. Meyer) è utilizzato nelle convalescenze, in caso di astenia, perdita di concentrazione e memoria, stati di stress. Sebbene secondo l’OMS 2002 il Ginseng non presenti controindicazioni assolute, dati di letteratura sconsigliano la somministrazione a pazienti già in terapia con anticoagulanti per possibili interazioni in senso sia protrombotico che emorragico [20]. Potenzia, inoltre, l’effetto farmacologico di corticosteroidi, insulina, calcio-antagonisti ed estrogeni [30].

e) Aglio.
L’aglio (Allium sativum L.) viene utilizzato per il trattamento dell’ipertensione lieve e come antielmintico. Riduce il livelli ematici di colesterolo, LDL-colesterolo e dei trigliceridi. Deve essere sospeso almeno 5-7 giorni prima di un intervento chirurgico in quanto aumenta il tempo di sanguinamento; per tale motivo è sconsigliato anche in gravidanza. Non deve essere assunto da pazienti già in terapia con ASA e warfarina. Potenzia l’effetto degli ACE-inibitori determinando ipotensione [31].

Concludiamo questa presentazione ricordando che vi sono numerosi studi sull’animale che dimostrano una protezione da parte dei fitoterapici nei confronti della tossicità farmaco indotta (soprattutto chemioterapici e antibiotici). Ad esempio l’estratto acquoso dell’aglio (Allium sativum) ha effetti protettivi nei confronti della nefrotossicità da metotrexate, gli estratti di liquerizia (Glycyrrhizia Glabra) e di Ribes diacanthum verso il cisplatino, le foglie di Ginkgo Biloba verso la nefropatia da gentamicina [32, 33]. Il meccanismo d’azione principale si basa sulle proprietà antiossidanti e anti-infiammatorie delle piante. Sebbene promettenti questi effetti protettivi non sono stati indagati sull’uomo ma rappresentano un possibile futuro impiego della MI.

 

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