Nefrologia: dove eravamo e dove dovremmo andare

Abstract

L’ultimo anno, segnato dalla pandemia, è stato un anno difficile sia per il Servizio Sanitario Nazionale che per la Nefrologia. Uno stress test drammatico per l’intero sistema sanitario, non solo a livello nazionale ma per l’intero pianeta. Seppur l’organizzazione funzionale della Nefrologia ed i modelli di cura siano stati valutati, discussi e consolidati sulla base di strumenti epidemiologici quali il Censimento, proposto ogni 4 anni, ed i dati del registro (RIDT), le conoscenze desunte dai dati e gli obiettivi operativi sono stati messi a dura prova. Perciò riteniamo che sia necessario analizzare e valutare le differenze e le sfide che la pandemia ha imposto ed imporrà nel prossimo futuro. In questo editoriale abbiamo provato a tracciare alcune proposte e suggerimenti, sulla base di come era la nefrologia a fine 2018 e di come sembra necessario modificarla dopo lo scoppio della pandemia COVID-19.

Parole chiave: censimento nefrologia, Sistema Sanitario Nazionale, organizzazione, pandemia COVID-19

Introduzione

L’ultimo anno, segnato dalla pandemia, è stato molto particolare sia per la Sanità italiana che per la Nefrologia, costituendo da un lato un momento quasi di sospensione, dall’altro un drammatico stress test. Già prima di questo evento, si discuteva sull’organizzazione generale della nefrologia, intesa in tutti i suoi aspetti – degenza, ambulatorio, nefrologia interventistica, dialisi e trapianto – per ottimizzare risorse e migliorare gli esiti. Ora ci sembra giunto il momento di tirare le fila, anche alla luce delle nuove esperienze, osservando da dove siamo partiti e ipotizzando dove dovremmo arrivare. In questo articolo ci occuperemo solo di Nefrologia e Dialisi, lasciando a un prossimo articolo quello che riguarda il Trapianto.

Per la partenza ci siamo affidati ai dati del Censimento 2018 delle strutture nefrologiche, che segue quelli del 2004, 2008 e 2014 [1], e che riporta dati raccolti a livello regionale. In questo editoriale vogliamo trarre alcune conclusioni e suggerimenti applicabili al panorama italiano nel suo complesso e proprio per questo le tabelle riportate di seguito contengono i dati a livello nazionale. Per una analisi più capillare vi rimandiamo alla versione integrale del Censimento [2,3]. Abbiamo poi voluto supportare i dati con quelli tratti dal Registro Italiano di Dialisi e Trapianto [4].

 

I dati

Dialisi

La distribuzione dei Centri di dialisi sia pubblici che privati in Italia è molto capillare e consente di assicurare il trattamento dialitico a circa 45000 pazienti senza liste di attesa o esclusione dalla terapia (Tab. I). È probabilmente un esempio organizzativo quasi unico nel panorama della sanità italiana. Tutto questo è continuato con sacrifici e innumerevoli problemi anche in quest’ultimo anno di pandemia.

  Privato Pubblico Totale
Centri nefro-dialisi Censimento 2018 147 290 437
Percentuale pazienti raggiunti (%) 52 91 78
Tabella I: Centri nefrologici pubblici e privati in Italia, e percentuale di pazienti raggiunti

Il valore di incidenza in dialisi risultante dal Censimento (153 pmp) è diverso da quello del Registro Italiano (158 pmp) perché la fonte dei dati è molto diversa (parte dei centri tra tutte le regioni nel Censimento; nel RIDT, 15 regioni hanno fornito dati completi su 20, 5 non ne hanno forniti) ed è probabilmente sottostimato, mancando di dati completi di Sicilia e Campania, che invece hanno contribuito al RIDT [5]. Escludendo dal conteggio totale tali regioni, l’incidenza diventa 160 pmp, sovrapponibile a quella RIDT.

HD DP Totale Pmp
Censimento 2018 7599 1618 9217 153
RIDT (15/20 regioni) 7165 1181 8345 158
Tabella II: Pazienti incidenti in dialisi (frequenza assoluta e per milione popolazione) in Italia: confronto tra risultati del Censimento e del RIDT
HD pmp DP pmp Totale pmp
Censimento 2018 604 70 674
RIDT (15/20 regioni) 688 69 757
Tabella III: Prevalenza in dialisi: confronto tra risultati del Censimento e del RIDT

Anche la prevalenza risulta leggermente sottostimata nel Censimento rispetto a quella fornita dal RIDT, non tanto per la dialisi peritoneale, in cui le due stime praticamente coincidono, quanto per l’emodialisi. Probabilmente interviene ancora l’effetto dovuto alla parziale risposta di Sicilia e Campania: i dati del Registro, che invece riporta dati più completi per queste due regioni, mostrano una prevalenza più alta.

L’utilizzo combinato di questi due strumenti epidemiologici consente quindi di ottenere stime più adeguate. In pratica in Italia si possono stimare 45300 pazienti di trattamento dialitico, di cui 41150 in dialisi extracorporea (90%) e 4130 in dialisi peritoneale (10%).

Dei pazienti in emodialisi, circa il 25% sono in trattamento presso un centro ad assistenza limitata o decentrata (CAL/CAD) sull’intero territorio nazionale. Se ci si limitasse alle sole regioni del nord, dove risulta maggiore il numero di centri ad assistenza limitata, la percentuale supererebbe il 50%. La notevole diffusione delle strutture dialitiche sul territorio italiano comporta, da un lato, che i pazienti trovino assistenza vicino al proprio domicilio, dall’altro però determina una notevole dispersione delle risorse nefrologiche.

Per quello che riguarda la dialisi peritoneale, i dati dimostrano ancora una forte differenza tra le regioni (cfr. [2], Tab. 11). I dati rilevati mostrano una prevalenza media italiana di 70 pmp (cfr. [2], Tab. 14), con un range di distribuzione da 56 pmp a 138 pmp rilevato nel Friuli Venezia Giulia. I dati si basano su tutte le regioni italiane, escluse la Sicilia e la Campania. Per quanto riguarda l’incidenza, si ha un valore medio italiano di 153 pmp, con range tra 118, rilevato nel Lazio, e 234 nel Friuli Venezia Giulia; Lombardia e Puglia, regioni ad alta popolazione, hanno una incidenza attorno a 180 pmp.

Purtroppo, risulta anche che ben 42 centri (14,8%) su 290 centri pubblici non effettuano dialisi peritoneale. Considerando che il privato non effettua questo tipo di dialisi, esso risulta un trattamento ancora poco esteso, nonostante vari proclami di legge e il diritto per tutti i cittadini italiani di scegliere il trattamento. Questa possibilità è nei fatti negata a gran parte di coloro che devono iniziare la dialisi.

I dati della prima survey sulla pandemia COVID-19 hanno mostrato la funzione protettiva dei trattamenti domiciliari: rischio più basso in DP e nei soggetti con trapianto di rene rispetto ai pazienti dializzati in ospedale domiciliare [12]. Sulla base di questi dati, il Ministero della Sanità ha inviato a tutti gli assessori della sanità delle regioni e delle provincie autonome la raccomandazione di attivare tutti gli strumenti possibili per incrementare l’utilizzo della dialisi peritoneale [6]. Questa raccomandazione si aggiunge a quanto ripetutamente suggerito da tempo anche dalla SIN, in particolare rispetto alla accurata scelta del trattamento dialitico che deve essere condiviso con il paziente e con il care-giver [7].

I dati della letteratura ormai sono concordi nell’evidenziare che le metodiche dialitiche, almeno nella prima fase (24-36 mesi) hanno risultati sovrapponibili in termini di sopravvivenza [8] e quindi non dovrebbero esistere ostacoli alla diffusione della metodica peritoneale. L’invecchiamento della popolazione dializzata forse interferisce con una metodica domiciliare, che deve essere gestita con una certa frequenza da un care-giver (non sempre disponibile). L’attivazione in alcune RSA di programmi di dialisi peritoneale per soggetti da istituzionalizzare potrebbe sicuramente favorire un incremento dei pazienti trattati con questa metodica. Non va inoltre dimenticato che per pazienti al proprio domicilio potrebbero essere attivati, su modello della assistenza domiciliare integrata, programmi di dialisi domiciliare assistita. L’uso di infermieri di cooperative, o di care-givers, con un sistema di pagamento a coupons, sarebbe di sicuro un altro metodo per diffondere sempre più la dialisi peritoneale sul territorio nazionale.

Nefrologia

Le strutture complesse di Nefrologia, pur essendo di numerosità elevata e numericamente al di sopra di quelle definite dal decreto Balduzzi, presentano spesso delle carenze organizzative.

Tale carenza si esplicita essenzialmente nella mancanza di posti letti autonomi: solo il 30% delle strutture pubbliche, infatti, ha letti autonomi, mentre il 19% ha letti dislocati in altre unità, anche se gestiti in autonomia dal nefrologo. Nel 10% delle unità i letti sono in altre unità operative e sono gestiti solo tramite attività di consulenza più o meno assidua, senza specifica dimissione nefrologica (cfr. [3], Tab. 5). In tutto, i letti di degenza ordinaria sono circa 2270 (cfr. [3], Tab. 6) che permettono oltre 73000 ricoveri (cfr. [2], Tab. 2). Un numero piuttosto piccolo, che fa supporre che la maggior parte dei nefropatici sia ricoverata in altri reparti internistici. D’altra parte, la generalizzata carenza in Italia di posti letto di area medica, fa sì che spesso i Pronto Soccorso ricoverino i pazienti dove è disponibile un posto libero, spesso senza poter indirizzare il paziente al reparto più appropriato.

Un dato molto interessante è il numero di trattamenti ai pazienti acuti, sia in terapia intensiva che in altri reparti all’interno delle strutture ospedaliere (cfr. [2], Tab. 18). Infatti, le nefrologie sono state chiamate a trattare nel 2018 oltre 46000 pazienti acuti (con oltre 180000 trattamenti), intesi sia come soggetti con malattie intercorrenti e ricoverati presso altri reparti dell’ospedale sia come pazienti nefropatici cronici con riacutizzazione dell’insufficienza renale non noti in precedenza, non solo all’interno delle proprie strutture nefrologiche e in terapia intensiva, ma anche in molti altri reparti, come ematologie con trapianto di midollo, malattie infettive, ortopedia, cardiologia e altre (Tab. IV).

Nefrologia Altri reparti Terapia intensiva Totale trattamenti Totale pmp
Pazienti acuti 55200 87968 40235 183403 3039
Percentuale (%) 30,1 48,0 21,9 100
Tabella IV: Trattamenti di pazienti con insufficienza renale acuta o riacutizzata (numero e pmp) per reparto in Italia

Questo è un aspetto fondamentale che deve far riflettere sull’elevato “know-how” accumulato dalle nefrologie. A volte, esse hanno difficoltà a farsi considerare come partner indispensabili per seguire i malati nelle rianimazioni, pur avendo conoscenze, apparecchiature e personale del tutto affidabili, appropriati e formati (cfr. [3], Tab. 8). I nefrologi sono inoltre chiamati ad una continua prestazione di consulenze ad altri reparti, soprattutto medici, che ampliano i loro compiti e sono spesso oggetto di notevole impiego di tempo, dipendente anche dalla dislocazione dei reparti all’interno degli ospedali.

Gli ambulatori nefrologici sono abbastanza diffusi e offrono tutti il controllo e la presa in carico nefrologico. Tuttavia, il numero di viste nefrologiche soffre in maniera importante in quanto le liste di attesa risultano elevate (dato non pubblicato). Il numero di visite, pur essendo alto in assoluto (925000 totali), risulta insufficiente in relazione alle necessità della popolazione, specie in considerazione del fatto che la prevalenza di malattia renale cronica nella popolazione è stimata a circa 2 milioni di soggetti. Inoltre, il numero di 925000 visite effettuate comporta sicuramente visite ripetute, riducendo di molto il numero di pazienti visti dalle nefrologie (Tab. V).

  Nefrologico Trapianto Esami strumentali Totale visite Totale visite pmp
Visite ambulatoriali (n) 542116 126269 64379 925017 15325
Percentuale (%) 74,0 17,2 8,8
Tabella V: Visite ambulatoriali (numero e percentuale) per tipologia di ambulatorio in Italia

Il personale

Un punto che merita attenzione è il numero di medici per milione di persone (Tab. VI) che varia, e di molto, tra regione e regione, con estremi che vanno dai 34 pmp del Trentino a 86 pmp della Calabria. Ciò fa presupporre modelli organizzativi diversi e variegati. Infatti molti medici, soprattutto nei centri piccoli e/o privati, sono destinati in primis al trattamento dialitico e, solo nel tempo rimasto, possono assicurare altri tipi di intervento (cfr. [3], Tab. 12).

Strutturati Non strutturati Totale
Numero Pmp Numero Pmp Numero Pmp
Numero medici 2490 41,3 784 13,0 3274 54,2
Tabella VI: Medici dipendenti nei centri italiani, per tipologia di rapporto di lavoro

A questo proposito, c’è da sottolineare il discreto contributo che offrono i medici specializzandi, che però si concentra esclusivamente nei centri sedi di specializzazione o partecipi della rete formativa (cfr. [3], Tab. 12).

Solo 38 nefrologie (13%) hanno un servizio di guardia attiva 24 ore su 24 (cfr. [2], Tab. 1), mentre il 65% ha un servizio di reperibilità. Si evince quindi che l’epidemia COVID sia stata prevalentemente coperta in reperibilità e ciò ha comportato difficoltà di copertura delle piante organiche e sovraccarico fisico e psichico del personale tutto. Altro dato rilevante è che 16 strutture complesse nefrologiche non hanno né guardia h24 né reperibilità e ben 47 hanno “differenti”, e non meglio specificate, forme di copertura della attività. In diverse regioni e centri dove esiste un centro trapianti di rene, non è presente guardia h24. È necessario che passi il concetto che le nefrologie degli ospedali dove ci sono reparti di terapia intensiva devono essere messe nelle condizioni di garantire la copertura nell’arco delle 24 ore.

Nonostante il numero di infermieri dedicati alla emodialisi sia adeguato (sono circa 8000 gli infermieri chiamati a tale compito, con un carico medio di circa 5 pazienti in dialisi extracorporea per infermiere) (cfr. [3], Tab. 14), l’aumento dei carichi di lavoro durante la pandemia, dovuti ad isolamento, triage e infezioni dal virus, e la presenza enormemente aumentata nelle unità intensive, ha imposto duri sacrifici in termini di tempo, organizzazione e preparazione.

Un altro problema che i dati del censimento mettono in rilievo è la mancanza di figure professionali sanitarie diverse dal medico. I dati OCSE (ribaditi ultimamente anche da CREA sanità [9]) indicano che il numero dei medici, seppur non sufficiente, è in linea con quello di molti stati esteri, mentre la mancanza di altre figure sanitarie o di supporto (amministrativi) è sicuramene il tallone d’Achille della nostra organizzazione sanitaria. Sappiamo altresì che il nostro sistema è medico-centrico: al medico sono demandate numerose incombenze che potrebbero essere delegate ad altre figure professionali competenti e formate e ciò si traduce in uno spreco di risorse umane ed economiche. Ad esempio, i dati del censimento 2008 mostrano che solo nel 39% dei casi c’era la presenza di un amministrativo [10]. Questi ultimi potrebbero invece rivestire un ruolo fondamentale in un moderno sistema sanitario basato sull’informatica, sulla telemedicina e per soddisfare il notevole carico burocratico. Il personale amministrativo sarebbe in grado di organizzare, ad esempio, le liste delle visite, le cartelle, le visite tramite telemedicina, la scrittura sotto dettatura computerizzata dei referti, come avviene normalmente in radiologia.

Un altro aspetto importante è la carenza di dietisti e psicologi (cfr. [3], Tab. 15): un centro pubblico su 4 (25,2%) non ha disponibilità né di dietista né di psicologo, e quasi la metà dei centri (47,8%) non si può avvalere della collaborazione di una delle due figure, nonostante il documento di indirizzo ministeriale sulla malattia renale cronica abbia indicato come essenziale la presenza della figura del dietista nei centri di nefrologia [11]. Il dietista, per esempio, è quasi sempre appartenente al servizio dietetico piuttosto che assegnato alla nefrologia. Ciò pone il problema della competenza specifica di questa figura professionale, che risulta essenziale nell’assistenza al nefropatico in tutta la sua storia clinica.

Un discorso a parte lo merita il numero di infermieri. Se per la dialisi sembra che il numero di infermieri sia sufficiente in dialisi risulta del tutto carente sia in corsia e negli ambulatori (Tabella VII).

Gli ambulatori sono afflitti quindi da pesanti carenze di amministrativi e di infermieri. Un assurdo che spiega la carenza di viste nefrologiche rispetto a quanto necessario.

Censimento 2018 Degenza HD DP Ambulatorio Altro
Infermieri dedicati 1827 8130 443 432 240
Tabella VII: Utilizzo degli infermieri nei centri pubblici in Italia

Gli infermieri sono fondamentali in Nefrologia [12], ed ancor di più in un sistema che faccia della delega l’arma principale [13]. Pre-visite infermieristiche che comportino counselling nefrologico oltre alla misurazione della pressione arteriosa, peso e controllo della terapia potrebbero non solo ridurre il tempo della visita, ma soprattutto aumentare notevolmente la qualità della prestazione fornita [14]. Gli infermieri sono spesso molto più empatici dei medici e potrebbero avere maggior confidenza con i malati, aumentando l’empatia e l’aderenza alla terapia e aiutando il percorso di scelta del trattamento dialitico [15].

Tutto questo potrebbe servire indubbiamente ad aumentare le visite ambulatoriali, anche ricorrendo alle nuove metodologie e a una nuova organizzazione

 

Il Covid-19: uno stress test per la Nefrologia

La pandemia da SARS-Cov-2 ha mostrato le tante lacune del Servizio Sanitario Nazionale. La prima, a nostro avviso, è stata la scarsa organizzazione e capacità di reingegnerizzazione di percorsi e processi, soprattutto delle direzioni aziendali.

Ma l’emergenza ci ha insegnato tante cose che devono essere modificate alla luce di questa esperienza [16,17,18,19].

La dialisi ambulatoriale

Sappiamo che le strutture di dialisi, pur essendo ambulatoriali, non possono essere chiuse come è successo per gli altri ambulatori. Quindi devono avere percorsi studiati per ridurre la possibilità di contagio, non solo all’interno, con stretta separazione dei percorsi per i sospetti e i casi, con possibilità modulari di isolare stanze di dialisi, pur mantenendole all’interno dei percorsi, ma anche, più in generale, nella struttura ospedaliera.

L’esperienza della maggior parte delle nefrologie devastate dal COVID-19 è stata la necessità di isolare pazienti e personale in stanze dedicate [20]. Questo è stato fatto a scapito di un impegno di personale enorme, spesso duplicato, per evitare sovrapposizioni e scambi tra aree diverse. In alcuni casi si è arrivati a tele-monitorare sia attraverso le apparecchiature di dialisi che attraverso telecamere istallate nelle stanze dialisi, in modo da non lasciare mai incustodite le postazioni.

Questa esperienza ha fatto capire che la logistica dei centri dialisi, a cui si è dedicata per anni scarsa attenzione, è forse uno degli aspetti più importanti. Se possibile, ad esempio, i servizi di dialisi dovrebbero essere collocati al piano terra, con ingressi separati ed esclusivi e con sale d’attesa separate in modo da permettere il triage che, in molti casi, non è stato possibile condurre in modo adeguato. Dove non c’era la logistica, si è ricorsi alla creatività: chi aveva l’ingresso al piano terra ha potuto costruire tendoni davanti ad esso per effettuare un triage più serio ed attuare ingressi separati, altri hanno addirittura abbattuto fondelli o creato porte aggiuntive per permettere il triage ed effettuare separazione tra percorsi infetti e non. In molti casi si arrivati a riservare ascensori solo per i dializzati.

L’architettura e la logistica dei centri dialisi dovrebbero tornare ad essere argomento di discussione tra i nefrologi, per superare gli attuali concetti di accreditamento basati sui requisiti minimi, pensando anche a soluzioni logiche e sostenibili in termini organizzativi, in ossequio ai principi del risk management, e in termini ambientali, in modo da sfruttare fondi europei.

Gli acuti

I dati che si stanno raccogliendo dimostrano che non pochi pazienti con COVID-19 ricoverati in Terapia Intensiva sviluppano insufficienza renale acuta. Questo ha portato le nefrologie a supportare un enorme carico di lavoro straordinario che si è aggiunto alle misure di isolamento necessarie in dialisi, coinvolgendo tutto il personale sanitario.

In un recente articolo si è affrontato il problema della forza lavoro nefrologica e dei metodi per stabilirne gli standard e gli aspetti legislativi [21]. Le necessità indotte dalla pandemia, come le regole di protezione dei pazienti (triage, isolamento) che la SIN ha immediatamente stilato, l’assistenza di numerosi pazienti dializzati che hanno contratto il virus (senza contare la malattia diffusa tra gli operatori), oltre ai numerosi casi di pazienti con IRA indotta da SARS-Cov-2, hanno portato a carenze di organico importanti e certamente non facilmente colmabili. Preme ancor di più sottolineare che la presenza dei nefrologi e degli infermieri di nefrologia nelle sezioni acuti, nelle rianimazioni e nelle terapie intensive è stata costante e ha determinato gravi carenze negli organici che solo la buona volontà e spirito di abnegazione hanno potuto colmare.

In alcune situazioni, si è arrivati all’insufficiente disponibilità di apparecchi per dialisi per acuti, costringendo a turni e a riduzione dei tempi di dialisi. Non va dimenticato che la configurazione di tali apparecchi, basati su sacche che poi devono essere svuotate, potrebbe aver aumentato il rischio di contaminazioni. Nel censimento si è visto come il cambio sacche sia spesso appannaggio degli infermieri di nefrologia. Anche in questo caso, il problema pone alle ditte costruttrici una nuova sfida per fornire sistemi di produzione dell’acqua portatili, ma soprattutto sistemi di smaltimento del liquido di dialisi usato che riducano, o meglio azzerino, il rischio di contaminazione.

Sarebbe importante che tutti i sistemi possano essere controllati a distanza con adatti sistemi di telemedicina. Ridurre al minimo interventi umani non strettamente necessari è fondamentale in quanto ogni intervento al letto del malato ha comportato notevole impiego di tempo per gli infermieri di nefrologia, per la vestizione e successivamente la decontaminazione. In alcune corsie, anche se non per problemi nefrologici, si è sperimentato l’uso di robot [22] che potessero aiutare a ridurre quanto più possibile l’ingresso di personale sanitario nelle stanze dei pazienti ricoverati con COVID-19. Abbiamo capito che questi non sono più degli optional, ma elementi essenziali e non eludibili della organizzazione sanitaria e nefrologica, se vogliamo salvaguardare la salute e la integrità dei nostri pazienti dializzati che hanno pagato un tributo molto caro all’epidemia.

Ambulatorio e degenza

Uno dei punti di maggiore criticità, messo in luce dalla pandemia, è stata l’assistenza ambulatoriale. Vedremo con il tempo se la chiusura degli ambulatori, o comunque la loro riduzione, porterà ad un aumento degli ingressi in dialisi o della mortalità. Tuttavia, sappiamo che molti ambulatori hanno ridotto, se non addirittura azzerato, il numero di visite per i pazienti con CKD in stadio 1-3. Questo ha comportato ritardi spesso insostenibili per i pazienti nefropatici che, secondo le stime derivate dai vari studi disponibili anche in Italia, sono intorno a 2 milioni di soggetti.

Questa situazione ha costretto molti ad imparare che la telemedicina può essere un sostengo insostituibile. Poiché le nefrologie hanno quasi tutte una dotazione informatica, molte hanno iniziato ad assistere i pazienti tramite collegamenti in telemedicina utilizzando le normali piattaforme (Skype, Zoom, Teams) [23] o anche, ma meritoriamente, solo con scambio di email.

I nefrologi hanno inoltre la fortuna di avere come necessità primaria la valutazione degli esami. Quindi la tele-visita [24], attualmente normata anche con tariffazione in diverse regioni, potrebbe diventare un sistema complementare, anche se certamente non sostitutivo, alle visite ambulatoriali. I pazienti hanno certamente bisogno del contatto con il professionista sanitario e l’empatia che si sviluppa è una componente del percorso di cura. Tuttavia, la telemedicina può aiutare ad aggiungere valore rispetto alla semplice lettura degli esami e ridurre il carico assistenziale, magari alternando visite in presenza e in remoto. Un altro ulteriore vantaggio della tele-visita potrebbe essere rappresentato dalla possibilità di offrire consulenza via email ai medici di medicina generale (MMG), come talvolta già attualmente succede, cosa che permetterebbe di ridurre gli accessi incongrui alle visite nefrologiche.

 

La nuova organizzazione

Il censimento già indicava l’assoluta necessità di nuovi modelli di aggregazione, come il coinvolgimento all’interno di reti nefrologiche che devono diffondersi fin nel territorio.

La pandemia COVID-19 ha acuito e reso non più procrastinabile un nuovo progetto di reingegnerizzazione della assistenza nefrologica. Si deve porre al centro del sistema il paziente nefropatico in tutte le sue articolazioni e quindi non più solo i dializzati, ma gli acuti e i nefropatici tutti, offrendo loro la reale presa in carico nefrologica. È necessario ampliare la disponibilità di ricoveri nefrologici e non ci riferiamo solo all’abito nefrologico come spazio fisico, ma anche al concetto di far seguire in prima persona i nefropatici dal nefrologo, individuato come “colui che ha competenze precipue per il trattamento delle complicanze multiorgano derivate dall’insufficienza renale cronica” [25]. Dovremo arrivare certamente a modificare percorsi e interconnessioni nefrologiche, non riducendo le nefrologie, ma espandendo e inglobando competenze e attività che devono vedere il nefrologo come attore principale, o almeno come partner prioritario ed indispensabile, di rianimatori, MMG, infettivologi, diabetologi etc.

Riteniamo tuttavia che la risposta del mondo nefrologico debba procedere verso quella delineata ormai da anni dalla SIN [25] ed adottata da alcune regioni (ad esempio Puglia [26] e Piemonte [27]), che individua la rete come risposta alle necessità organizzative della nefrologia. Veniva affermato che: “Il presidio del sapere distintivo della disciplina passa anche attraverso la conoscenza e la valutazione delle nuove formule organizzative e istituzionali dei servizi nefrologici”. Ed inoltre che: “I confini organizzativi dell’operato del nefrologo sono sempre più quelli della rete territoriale (frequentemente di scala provinciale), piuttosto che della singola unità operativa, all’interno della quale si trovano contemperamento gli interessi dei pazienti, dei professionisti e delle istituzioni. La rete nefrologica richiede strumenti di integrazione professionale e organizzativa per la gestione delle interdipendenze dei servizi della filiera”.

La rete quindi, come risposta a molti dei problemi che i vari censimento hanno evidenziato ma non risolto. Ci riferiamo, ad esempio, al problema degli accessi vascolari, delle biopsie, dei ricoveri, degli acuti e della guardia h24. Non è certo possibile che tutte le nefrologie siano in grado di effettuare da sole tutte le prestazioni, ma è invece possibile che le nefrologie possano fare rete per garantire, seppur in posti diversi e con un modello organizzativo adeguato ed unitario, tutte le prestazioni.

La legge Balduzzi individuava una nefrologia ogni 600.000 abitanti, il lavoro SIN-Cergas le collocava in ambito provinciale. Ma qualunque sia la estensione territoriale, l’unica risposta per rendere forti ed indispensabili le nefrologie è la rete. Una rete dinamica dove non ci sia un solo hub e tanti spoke, ma tutti siano nodi a secondo della attività e del compito assegnato.

Nella rete tutte le attività sono possibili, dalla dialisi domiciliare, agli accessi vascolari, alle biopsie e guardie h24. Il modello di rete potrebbe anche favorire la clinical competence [28] e la adeguata risposta a specifiche richieste di competenze: “Gli “specialismi” della disciplina possono essere perseguiti solo in contesti organizzativi in cui è maturata una domanda di competenze nefrologiche da parte delle altre comunità professionali”. Il modello di rete permetterebbe di utilizzare l’intera equipe in modo dinamico, riducendo od attenuando riduzioni di organico che in questo momento stanno affliggendo molte nefrologie, vista la mancanza di nefrologi lamentata da più parti.

È probabile che molta della assistenza sia ancora dedicata, come giusto che sia, alla dialisi, che assorbe risorse ingenti.

Nell’ambito di un sistema a rete, a questo proposito, si dovrà anche ripensare il ruolo del privato, che in alcune regioni italiane assiste ben oltre il 50% del trattamento dialitico. La pandemia ha evidenziato come gli ambienti ospedalieri possano diventare pericolosi e rischiosi e come non sempre sia possibile isolare completamente reparti o sezioni. Sarà quindi necessario reingegnerizzare le reti assistenziali con adatte partnership basate su modelli e standard di qualità paragonabili e ben stabiliti. Il privato, vista la frequente allocazione al di fuori dell’ospedale, potrebbe dare risposte importanti in termini di posti dialisi nei momenti, come quelli a cui si è assistito durante la pandemia COVID-19, di difficile e problematico accesso agli ospedali. Ma potrebbe sicuramente aiutare anche in tempi “normali” mettendo in rete non solo i posti, ma le capacità di creazione e monitoraggio degli accessi vascolari, delle reti informatiche, del supporto logistico, ricevendo a sua volta la formazione dei suoi professionisti, che potrebbero entrare nel pool totale dei sanitari.

Al momento attuale questi sono solo modelli, senza alcuna pretesa di indicare soluzioni. Ma i dati provenienti dalla epidemia COVID-19 hanno dimostrato che l’organizzazione è stato il punto carente nel momento della necessità e che è invece un aspetto fondamentale da curare, così come gli aspetti prettamente clinici. La società scientifica dovrà porsi l’obiettivo di rivedere, oltre le linee guida cliniche, anche gli aspetti organizzativi, forse meno “nobili” ma, come abbiamo visto in quest’ultimo anno, essenziali per continuare ad essere utili ai nostri pazienti. E sarà forse opportuno che se ne cominci a parlare. La cosa peggiore è arroccarsi dietro al terribile detto “io ho sempre fatto così” e ritrovarsi in serie difficoltà nel momento del bisogno.

Da ultimo, i censimenti [1] e il RIDT [5] si sono rivelati uno strumento indispensabile per avere dati epidemiologici e di impatto organizzativo, per capire la rete nefrologica, per valutarne la affidabilità, le mancanze e le ulteriori possibilità di implementazione. Tuttavia, sappiamo che ogni tentavo di raccolta dati (sia che si tratti dei dati del registro che del censimento) si è rivelata difficile, farraginosa e non esaustiva in tutte le diramazioni regionali. Il futuro obbligherà a sviluppare adatti algoritmi, magari facendo ricorso a flussi amministrativi, che possano intercettare i pazienti nefropatici nei loro vari stadi e mettere in rete le unità di nefrologia in tutte le loro varie forme e definizioni. La creazione di un registro nazionale dei nefropatici era contenuta nel decreto cronicità [29] e, come spesso accade, alle pronunce non è seguita di fatto l’attuazione. È il momento che i nefrologi e la nefrologia facciano valere l’importanza di tali strumenti come indispensabili al corretto trattamento di una patologia subdola e poco conosciuta. Inoltre, è ormai necessario omogeneizzare i vari archivi, database e registri che si sono moltiplicati tra le varie sezioni e gruppi nefrologici, senza alcuna interconnessione, risultando isolati gli uni dagli altri. La neonata Commissione Epidemiologica [30], voluta dal Consiglio Direttivo della SIN durante la presidenza Brunori e confermata e dal Presidente Messa e dal nuovo Consiglio Direttivo, è votata a questo. E i dati che potrà fornire potranno sempre più contribuire ad una conoscenza approfondita e “spendibile” del mondo nefrologico che, dopo la pandemia, è cambiato profondamente e dovrà continuare a farlo. Solo conoscendo noi stessi, da tutti i punti di vista, potremmo essere interlocutori credibili ed attendibili all’alba dei nuovi progetti legati al recovery fund e alla trasformazione a cui sarà sottoposta, ineluttabilmente, la sanità italiana.

Se non ora quando?

 

Bibliografia

  1. Archivio di tutti i censimenti SIN: https://documenti.sinitaly.org/la-rete-nefrologica/
  2. Quintaliani G, Di Napoli A, Reboldi P, Postorino M, Messa P, Aucella F, Brunori G. Censimento della Società Italiana di Nefrologia delle strutture nefrologiche e della loro attività in Italia nel 2018: il lavoro del nefrologo. G Ital Nefrol 2020; 37(S75). https://giornaleitalianodinefrologia.it/2020/07/37-s75-2020-1/
  3. Quintaliani G, Di Napoli A, Reboldi P, Postorino M, Messa P, Aucella F, Brunori G. Censimento a cura della Società Italiana di Nefrologia delle strutture nefrologiche e delle loro attività in Italia nel 2018: l’organizzazione. G Ital Nefrol 2020; 37(S75). https://giornaleitalianodinefrologia.it/2020/07/37-s75-2020-2/
  4. Società Italiana di Nefrologia. Registro Italiano dialisi e trapianto. https://ridt.sinitaly.org/
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