Aspetti emergenti della glomerulonefrite membranoproliferativa

Abstract

Storicamente le glomerulonefriti membranoproliferative (GNMP) sono state sottoclassificate sulla base dei reperti di microscopia ottica ed elettronica. La migliore comprensione della fisiopatologia che sta alla base di queste glomerulonefriti ha condotto ad uno schema classificativo fondato sui reperti di immunofluorescenza. Il pattern istologico di GNMP può conseguire alla deposizione di depositi subendoteliali e di componenti della cascata del complemento in conseguenza di una disregolazione della via alternativa del complemento. Le GNMP complemento-mediate includono la malattia da depositi densi e la GNMP-C3. La disregolazione della cascata complementare può dipendere da mutazioni genetiche o dallo sviluppo di autoanticorpi diretti contro proteine regolatrici del complemento.

La GNMP è anche una sequela della deposizione mesangiale e subendoteliale di immunocomplessi (IC). Cause comuni di GNMP da IC sono infezioni croniche, malattie autoimmuni, gammopatie monoclonali, disprotidemie. Questa categoria include anche la glomerulonefrite in corso di crioglobulinemia mista, che è spesso associata ad infezione da virus dell’epatite C (HCV). In alcuni casi al forte sospetto clinico di vasculite crioglobulinemica non corrisponde il rilievo di crioglobuline circolanti determinante con metodo standard. Tuttavia, usando tecniche più sensibili, è spesso possibile determinare livelli anche molto bassi di crioglobuline circolanti (ipocrioglobuline). Questi pazienti possono presentare una glomerulonefrite, spesso isolata, con pattern membranoproliferativo, non avere infezione HCV, e possono avere normali valori di fattore reumatoide e di componenti complementari. La nefrite ipocrioglobulinemica potrebbe rappresentare una entità nosologica distinta.

Parole chiave: Glomerulonefrite membranoproliferativa, Glomerulonefrite C3, Nefrite ipocrioglobulinemica

Introduzione

La glomerulonefrite membranoproliferativa (GNMP) rappresenta il 7-10% delle diagnosi nefrobioptiche [1]. Essa viene diagnosticata sulla base di un pattern istologico comune a un gruppo eterogeneo di malattie. Fino a circa dieci anni fa, la GNMP veniva sottoclassificata, sulla base della localizzazione dei depositi nei capillari glomerulari identificabili in microscopia elettronica, in tre tipi [2]: tipo I, la forma più comune, caratterizzata da depositi subendoteliali e mesangiali costituiti da immunoglobuline e complemento (C3 in particolare); tipo II (o malattia da depositi densi), caratterizzata da depositi elettrondensi intramembranosi, costituiti prevalentemente da complemento; tipo III, più rara, caratterizzata da depositi sia subepiteliali che subendoteliali. Questa classificazione non differenziava entità clinico-patologiche a patogenesi molto diversa. Nello specifico, le forme di tipo I e III includevano sia i casi in cui la deposizione di immunocomplessi costituiva l’elemento patogenetico fondamentale che condizioni mediate prioritariamente dal complemento. Nel 2012 la classificazione istologica della GNMP è stata rivisitata [3] mediante l’analisi immunoistochimica della natura dei depositi glomerulari, ciò che consentiva di distinguere forme da immuno-complessi (GNMP-IC) con prevalenza di depositi di IgG da forme a prevalente deposizione di C3 associate a disregolazione della via alternativa del complemento (GN-C3) (Figura 1). L’analisi in microscopia elettronica consentiva di discriminare all’interno del cluster complemento-mediato la malattia a depositi densi, osmiofili e ondulati addensati nella membrana basale.

Nella pratica clinica l’ovvia criticità dell’impiego di questo nuovo approccio classificativo risiede nella qualità della lettura dell’immunofluorescenza che richiede una consolidata esperienza del patologo.

Fig. 1: Differenze tra classificazione tradizionale e nuova classificazione.
Fig. 1: Differenze tra classificazione tradizionale e nuova classificazione.

 

Glomerulonefrite membranoproliferativa complemento-mediata

La GN-C3 è caratterizzata dalla presenza di depositi mesangiali e subendoteliali, talvolta anche subepiteliali e intramembranosi. I dati di microdissezione laser e l’analisi spettrometrica di massa dei glomeruli ottenuti da pazienti con GN-C3 ne suggeriscono una patogenesi sostenuta da un’attivazione continuativa della via alternativa del complemento. Il profilo proteomico è simile a quello dei pazienti con malattia da depositi densi a supportare l’ipotesi che la malattia da depositi densi e la GN-C3 rappresentino un continuum. A riprova, sono stati descritti casi con caratteristiche intermedie tra le due forme, con alcune anse capillari che all’esame ultrastrutturale mostrano i depositi intramembranosi tipici della malattia da depositi densi, e altri che mostrano i depositi subendoteliali e subepiteliali caratteristici della GN-C3.

Il ruolo chiave della cascata complementare e delle alterazioni dei sistemi di regolazione

La cascata del complemento ha un ruolo fondamentale nell’immunità innata [4, 5]. I fattori del complemento possono indurre una potente risposta infiammatoria che si traduce in chemiotassi dei fagociti, opsonizzazione e lisi delle cellule inglobanti i microrganismi. L’attivazione del complemento avviene attraverso la via classica, lectinica e alternativa, che convergono a formare la C3 convertasi, responsabile della scissione del C3 in C3a e C3b. Il C3b, in presenza del fattore B e del fattore D, si associa alla C3 convertasi, generando nuova C3 convertasi e amplificandone l’azione. La C3 convertasi è un punto nodale della cascata del complemento. L’associazione di C3b e C3 convertasi determina la formazione di C5 convertasi che favorisce la formazione del complesso di attacco di membrana (C5b-C9) sulle superfici cellulari con conseguente lisi cellulare. Esistono sistemi di regolazione a diversi livelli della cascata, in particolare a livello della C3 e C5 convertasi. Tali regolatori includono i fattori H e I, le proteine ​​correlate al fattore H.

La disregolazione della via alternativa può essere secondaria a mutazioni o alla presenza di autoanticorpi contro le proteine ​​​​regolatrici del complemento [6, 7]. Anche alcuni polimorfismi genetici dei fattori H, B e C3 possono associarsi a GN-C3. Nonostante i molteplici fattori di rischio genetici, la GN-C3 ha un esordio tardivo, suggerendo la necessità di ulteriori trigger per lo sviluppo della malattia. È ad esempio verosimile che a seguito di infezioni che innescano l’attivazione del sistema complementare possano venir soverchiati meccanismi di regolazione compensatoria che normalmente temperano il potenziale di iperattivazione complementare. Questa ipotesi può spiegare gli episodi ricorrenti di ematuria macroscopica associati a infezioni che si osservano in molti pazienti con MPGN. Allo stesso modo la sintesi di autoanticorpi ​​monoclonali diretti contro proteine ​​di regolazione del complemento in pazienti con gammopatia monoclonale potrebbe essere responsabile di una disregolazione della via alternativa con conseguente comparsa di MPGN.

Qualunque sia il meccanismo, la disregolazione del percorso alternativo si traduce in una iperattivazione ​​del complemento con conseguente deposizione di prodotti complementari nel mesangio e in sede subendoteliale. Con l’eccezione degli autoanticorpi monoclonali anti proteine complementari delle GNMP in corso di gammopatia monoclonale, le immunoglobuline non sono coinvolte in questo meccanismo, e nelle forme di MPGN complemento-mediate l’immunofluorescenza è negativa per immunoglobuline, ma positiva per C3 (Figura 2).

 

Glomerulonefrite membranoproliferativa da deposizione di immunocomplessi

La GNMP da deposizione di immunocomplessi può essere associata ad una infezione cronica (virale, soprattutto da virus epatitici C e B, batteriche, fungine e parassitarie), ad una malattia autoimmune (lupus eritematoso sistemico, crioglobulinemia mista e meno frequentemente sindrome di Sjögren, artrite reumatoide e connettivite mista) o paraproteinemia (soprattutto gammopatia monoclonale di significato indeterminato, linfoma a cellule B di basso grado, linfoma linfoplasmocitico, leucemia linfocitica cronica e mieloma multiplo) [8]. La deposizione di immunocomplessi costituisce il trigger per l’attivazione della via classica del complemento e per la deposizione di fattori del complemento nel mesangio e lungo le pareti dei capillari (Figura 2).

Fig.2: Fisiopatologia delle glomerulonefriti membranoproliferative (GNMP). GN: glomerulonefriti.
Fig.2: Fisiopatologia delle glomerulonefriti membranoproliferative (GNMP). GN: glomerulonefriti.

La deposizione di immunoglobuline, complemento o entrambi a livello mesangiale e subendoteliale, è responsabile di un danno acuto e una fase infiammatoria “iperplastica” (caratterizzata dalla proliferazione cellulare) e una fase riparativa “ipertrofica”, nella quale l’espansione mesangiale è condizionata dalla produzione di nuova matrice.

La nefrite ipocrioglobulinemica: varietà emergente di glomerulonefrite membranoproliferativa da deposizione di immunocomplessi crioprecipitabili  

Si è detto come le condizioni più comuni associate alla deposizione di immunoglobuline includano le infezioni croniche, alcune malattie autoimmuni, alcune gammopatie monoclonali e alcune disprotidemie. Fa parte di questo gruppo la crioglobulinemia mista, caratterizzata dalla presenza nel siero di immunocomplessi crioprecipitabili costituiti da combinazioni di IgM monoclonali e IgG policlonali (cryoglobulinemia di tipo II), o di IgG e IgM policlonali (tipo III).

La crioglobulinemia mista di tipo III è piu frequentemente associata a patologie infettive o autoimmuni. Le crioglobulinemie di tipo II, II-III, e un numero considerevole di casi di tipo III si estrinsecano clinicamente in un’entità autonoma, la crioglobulinemia mista, che presenta i caratteri di una vasculite dei piccoli vasi. Nella maggior parte dei casi è rilevabile un’infezione da HCV (anche pregressa).

In una proporzione minore di pazienti con elevato sospetto clinico per vasculite crioglobulinemica, le crioglobuline non sono determinabili coi metodi convenzionali o sono presenti in tracce minime non tipizzabili. Alcuni autori americani definiscono questa condizione “crioglobulinemia sieronegativa” perché il quadro istologico di nefrite crioglobulinemica non si associa al rilievo di crioglobuline circolanti [9]. In realtà con metodi di precipitazione in mezzo ipoionico materiale crioprecipitabile è isolabile e tipizzabile nella maggior parte dei casi. Il nostro gruppo ha definito questa condizione “ipocrioglobulinemia” [10]. Nel processo di riconoscimento di questa condizione, che ha impiegato una tecnica di precipitazione in mezzo ipoionico dei crioprecipitati sierici “minimi”, sono stati identificati 237 pazienti con criocrito < 0,5% e sospetto clinico di malattia autoimmune. Di questi 237 pazienti, solo 54 avevano una storia di infezione da HCV, 179 (71%) avevano una malattia di base accertata, mentre 68 pazienti (28,6%) non avevano alterazioni clinico-laboratoristiche orientative di una patologia specifica. Questi 68 casi sono stati definiti come affetti da “ipocrioglobulinemia idiopatica” [10]. Nella maggior parte dei casi le ipocrioglobuline sono di tipo misto policlonale, raramente si associa un’infezione HCV e i livelli di fattore reumatoide e dei componenti complementari possono essere normali. Più tipicamente si tratta di malattie oligoespresse con nefrite spesso isolata. Il pattern istopatologico è virtualmente indistinguibile da una classica glomerulonefrite crioglobulinemica, ancorché i depositi presentino all’esame in microscopia elettronica una minore strutturazione. È stato ipotizzato si possa trattare di un’entità separata (Tabella I).

Ipocrioglobulinemia

idiopatica

N=9

Crioglobuliaemia

mista

N=16

 

P

HCV+ N. (%) 2 (22) 16 (100) <0.01
Proteinuria > 3.5 g/die – N. (%) 4 (44) 12 (75) 0.12
Ematuria N. (%) 5 (55) 11 (69) 0.5
sCr> 1.5 mg/dl N. (%) 8 (88) 15 (94) 0.6
Coinvolgimento renale isolato – N. (%) 8 (88) 0 (0) <0.01
Crioglobulinaemia N. (%) Type III (trace amounts)

in 9 (100)

Type II in 16 (100) <0.05
Tabella I: Differenze clinico-laboratoristiche tra ipocrioglobulinemia idiopatica e crioglobulinemia mista.

Con l’introduzione del concetto di ipocrioglobulinemia idiopatica, i risultati di questo studio hanno ridefinito le caratteristiche cliniche e i percorsi diagnostici delle patologie da deposizione di immunocomplessi crioprecipitabili, promuovendo il riconoscimento precoce di un numero di casi altrimenti indiagnosticati. Pazienti che presentino un robusto sospetto clinico di vasculite, in particolare di quelli con glomerulonefrite a pattern membranoproliferativo, e tuttavia risultino negativi alla ricerca delle crioglobuline con tecniche standard, potrebbero richiedere indagini più approfondite anche in assenza di infezione da HCV, attività RF o segni di consumo di complemento. In questi casi la biopsia renale e un’accurata analisi in microscopia elettronica sono irrinunciabili.

 

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La glomerulopatia da C3

Abstract

Il sistema del complemento, braccio fondamentale del sistema immunitario innato, negli ultimi anni ha catalizzato un rinnovato interesse da parte della comunità scientifica. Questo ha portato una rara patologia renale, la glomerulopatia da C3, al centro di una vera e propria rivoluzione che sta mettendo in luce le complesse interazioni tra genotipo, “triggers” ambientali e microambiente renale, che insieme contribuiscono al fenotipo finale della malattia. Al contempo, proliferano le sperimentazioni e gli studi clinici promossi dall’industria farmaceutica con i nuovi inibitori del complemento. È un momento storico molto promettente per i pazienti affetti dalla glomerulopatia da C3, che sino ad oggi non hanno avuto a disposizione farmaci realmente efficaci nell’impedire la progressione verso l’insufficienza renale e l’uremia.
Parole chiave: glomerulonefrite membranoploriferativa, glomerulopatia da C3, sistema del complemento, via alterna, biopsia renale

La glomerulopatia da C3 (C3G) è una rara malattia che si manifesta tipicamente in età pediatrica o nel giovane adulto, caratterizzata da intensi depositi di C3 alla biopsia renale. Essa è considerata un sottotipo di glomerulonefrite membranoproliferativa (MPGN) [1].

La classificazione storica della MPGN, basata sull’osservazione al microscopio elettronico (EM), prevedeva la seguente suddivisione in MPGN: di tipo I, caratterizzata da depositi elettrondensi subendoteliali; di tipo II, anche chiamata malattia a depositi densi (DDD), con depositi intensamente elettrondensi, in sede intramembranosa; di tipo III, con depositi sia sottoendoteliali che subepiteliali. Tuttavia questa classificazione della MPGN si è dimostrata essere limitata per l’assenza di una chiara connessione con la patogenesi della malattia, con scarsi risvolti clinici per il paziente.

Recentemente, in base al reperto alla immunofluorescenza (IF), Sethi S. e collaboratori hanno proposto un nuovo sistema classificativo della MPGN, che ha portato alla distinzione di due sottotipi [2]. Il primo, nel quale sono evidenziabili alla IF depositi glomerulari di immunoglobuline e complemento, è quello della MPGN mediata da immunocomplessi (IC-MPGN), causata dalla deposizione glomerulare di immunocomplessi o immunoglobuline nel contesto di malattie sistemiche o infettive, con prevalente attivazione della via classica del complemento. Il 20-30% di queste forme non riconosce una causa specifica ed è pertanto idiopatica. Il secondo sottotipo comprende la forma di MPGN mediata dalla disfunzione della via alterna del complemento, chiamata anche C3G, caratterizzata da deposizione glomerulare dominante di C3 (intensità del C3 all’IF di almeno due ordini di grandezza superiore alle altre immunoglobuline). Infine, sulla base dei reperti all’esame EM, la C3G è stata ulteriormente suddivisa in DDD e C3 glomerulonefrite (C3GN).

La presenza di depositi osmiofilici, intensamente elettrondensi e localizzati tipicamente all’interno della membrana basale glomerulare, caratterizza la DDD. Gli esperti di complemento hanno specificato che la C3G è molto eterogenea in quanto oltre ad un “pattern” di tipo membranoproliferativo può mostrare altri fenotipi glomerulari (ad esempio: proliferativo endocapillare, proliferativo mesangiale, necrotizzante ed extracapillare) [3]. Gli studi nell’animale e nell’uomo hanno permesso di identificare le anomalie biochimiche (es. consumo selettivo C3), genetiche (mutazioni nei geni che codificano per le proteine del sistema del complemento: C3, fattore B, fattore H, fattore I, MCP/CD46 e THBD, varianti di suscettibilità etc.) e i fattori acquisiti (C3Nef, C5Nef, anticorpi contro i fattori regolatori del complemento) che caratterizzano la malattia [4].

Va tuttavia sottolineato che alcuni gruppi di ricerca hanno dimostrato che anomalie genetiche a carico dei fattori regolatori della via alterna del complemento e peculiari anomalie biochimiche, quali ad esempio bassi livelli di C3 ed elevati livelli di sC5b9, sono presenti nella stessa proporzione di pazienti affetti da C3G e IC-MPGN idiopatica [5, 6]. Questa osservazione potrebbe mettere in discussione l’attuale classificazione della MPGN e ci induce a considerare queste patologie all’interno di uno spettro di condizioni cliniche, per le quali la via alterna del complemento è il principale meccanismo patogenetico.

Ma come funziona la cascata del complemento? Esistono tre vie di attivazione del sistema del complemento: classica, lectinica ed alterna [7]. La via classica è attivata dall’interazione fra C1q e gli immunocomplessi, mentre la via lectinica necessita di lectine e ficoline leganti gruppi mannosio, per poter identificare molecole di carboidrati che si trovano sulla superficie di una vasta gamma di microrganismi. Il trigger iniziale delle vie classica e lectinica porta alla conseguente attivazione delle componenti C2 e C4 e alla formazione di C3 convertasi, C4bC2a. Al contrario, la via alterna è continuamente attivata dall’idrolisi spontanea del C3 (meccanismo “tickover”), che risulta in un cambio conformazionale tale da consentire il legame del fattore B (CFB). Una volta legato, il fattore B diventa un substrato per una serino proteasi, detta fattore D (CFD). Il clivaggio del fattore B da parte del fattore D promuove la formazione della C3 convertasi propria della via alterna C3(H2O)Bb, che, in modo simile alla C3 convertasi della via classica, può clivare C3 in C3a e C3b. La generazione di C3b permette alla via alterna di essere pienamente attivata con la formazione del “loop” di amplificazione e del complesso C3bBb. Tutte e tre le vie convergono nel momento in cui C3 viene clivato dalla C3 convertasi per produrre il frammento C5a, un importante agente infiammatorio, e C5b, il componente iniziale della via terminale del complemento. Il legame in sequenza di C5b con C6, C7, C8 ed infine C9 risulta nell’assemblaggio di C5b-9 o complesso di attacco di membrana (MAC). La via alterna è fortemente controllata grazie all’esistenza di diversi regolatori che operano ancorati alla membrana oppure in fase fluida. Fra questi ultimi riconosciamo, ad esempio, il fattore I (CFI) ed il fattore H (CFH). Ci si può facilmente rendere conto che se i regolatori non funzionano correttamente, la conseguenza diretta è l’iperattivazione della via alterna. Era noto già dagli anni ’70 che esistessero glomerulonefriti ipocomplementemiche con pattern membranoproliferativo. Purtroppo, non abbiamo mai avuto a disposizione farmaci specifici per il trattamento di queste malattie. I comuni immunosoppressori si rivelano spesso scarsamente efficaci, ne consegue che la maggior parte dei pazienti progredisce verso l’uremia.

L’immunosoppressore che sembra consentire migliori risultati è il micofenolato, come mostrato da un’analisi retrospettiva del GLOSEN group spagnolo [8]. Si tratta di dati limitati. Il primo inibitore specifico del complemento ad essere utilizzato nelle C3G è l’eculizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato in grado di bloccare il C5 e prevenire la formazione di C5a e del complesso di attacco di membrana. Il razionale per utilizzare il farmaco nell’uomo deriva da studi nel modello animale, topi incapaci di produrre fattore H che sviluppano la glomerulonefrite in modo spontaneo [9]. Provocando la delezione genica del C5 lo stesso animale sviluppa una malattia molto più lieve.

Nel 2012, vengono pubblicati i primi casi aneddotici di giovani pazienti con C3G trattati con eculizumab, che hanno risposte convincenti in termini di riduzione della proteinuria e stabilizzazione della funzionalità renale [10, 11]. Nello stesso anno viene pubblicata la prima “case series” del gruppo di nefrologi della Columbia University [12]. Lo studio sembra suggerire che i pazienti con alti livelli di sC5b9 sono quelli che rispondono meglio all’anticorpo monoclonale. È sulla base di questi risultati che l’Istituto Mario Negri di Bergamo ha disegnato uno studio clinico che ha incluso 10 pazienti con C3G e IC-MPGN [13]. Il protocollo di trattamento prevedeva uno schema on-off-on-off. Nel primo anno di studio i livelli di sC5b9 si sono ridotti rapidamente e si è assistito ad un iniziale miglioramento della proteinuria. Tuttavia, durante il periodo di wash out, è stata osservata un’esacerbazione della malattia con peggioramento dei parametri laboratoristici, che non miglioravano in modo significativo nel successivo anno di trattamento. L’eculizumab è un farmaco molto costoso e che richiede ai pazienti di recarsi in ospedale ogni due settimane per la somministrazione. Inoltre, è un trattamento cronico che non può essere interrotto. Un’osservazione interessante è stata fatta a livello istologico. Nelle biopsie renali dopo due anni di terapia gli infiltrati di leucociti intracapillari sono drasticamente ridotti. A supporto del potente effetto anti infiammatorio dell’eculizumab esiste anche uno studio retrospettivo, che mostra come i pazienti con C3G che ottengono una risposta migliore dalla terapia sono quelli con una presentazione clinica rapidamente progressiva e con una maggior percentuale di semilune floride all’esordio [14].

Negli ultimi anni si è assistito ad un vertiginoso impulso nella ricerca e sperimentazione nel campo dei nuovi inibitori selettivi del complemento. Un caso esemplare riguarda l’inibitore orale del fattore D, danicopan, che blocca l’azione della C3 convertasi e che è stato oggetto di ricerca presso l’Istituto Maro Negri di Bergamo. I dati di questo studio non sono ancora stati pubblicati. Sono state osservate risposte molto variabili con questo farmaco nei pazienti affetti da C3G. In parte, la variabilità delle risposte è dipesa da un problema di tipo farmacocinetico/farmacodinamico. Infatti, il fattore D è molto difficile da inibire. Si pensi che sono sufficienti l’1,8% dei livelli di fattore D per mantenere attiva la via alterna del complemento. La company in oggetto sta cercando di produrre un inibitore più potente del fattore D, che speriamo essere disponibile a breve. Tuttavia, non sono mancate le sorprese incoraggianti. Vale la pena citare il caso di un giovane di 18 anni affetto da DDD, che all’esordio aveva una sindrome nefrosica con peggioramento della funzione renale. Ebbene, dopo poche settimane di trattamento con danicopan, il C3 plasmatico si è normalizzato, così come la proteinuria e la funzione renale. Dal punto di vista istologico si è assistito ad una regressione delle lesioni infiammatorie.

In conclusione, gli studi con questi nuove molecole sono molto difficili da condurre poiché si tratta di malattie rare, molto eterogenee, con un’importante variabilità nei meccanismi patogenetici tra un soggetto e l’altro. Queste malattie complesse ci insegnano che oggi è sempre più necessario adottare una medicina di precisione. L’analisi di cluster è un metodo biostatistico che potrebbe essere molto utile in tal senso. Questo metodo è stato applicato con successo al registro delle MPGN e C3G del Centro di Ricerca per le Malattie Rare dell’Istituto Mario Negri di Bergamo [15]. Utilizzando i dati di 173 pazienti del registro, è stato possibile identificare 4 clusters di malattia con caratteristiche comuni. Suddividendo i pazienti in clusters si sono ottenuti dei sottogruppi di pazienti omogenei dal punto di vista degli aspetti patogenetici. Rispetto alle curve di sopravvivenza dei pazienti suddivisi per gruppo istologico (IC-MPGN, C3GN, DDD), quelle dei pazienti suddivisi nei 4 clusters hanno una maggior rilevanza e significatività in termini prognostici. L’intento è quello di identificare sottogruppi di soggetti che possano beneficiare di specifiche terapie.

Questo è un momento storico molto promettente per i pazienti affetti da C3G. La comprensione dei meccanismi che generano la malattia e la disponibilità di nuovi farmaci capaci di inibire il sistema complemento a diversi livelli della cascata sta rivoluzionando il panorama di questa condizione. Tuttavia, le sfide aperte sono ancora molteplici. In particolare, tenuto conto dell’estrema variabilità genetica e biochimica della malattia, risulta difficile prevedere quale paziente potrà maggiormente beneficiare di un determinato farmaco. Le nuove tecnologie e i metodi biostatistici, come ad esempio l’analisi di cluster, potranno consentire di addentrarci nel campo di una medicina di precisione, che tenga in conto delle variabilità inter individuale dei pazienti.

 

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