HIF-ɑ: il nuovo target per il trattamento dell’anemia nella MRC. Aspetti molecolari della via di attivazione sequenze HREs

Abstract

Roxadustat è un inibitore reversibile della prolin-idrossilasi (PHD) del fattore inducibile dell’ipossia, somministrato per via orale, approvato recentemente in Italia per la sua sicurezza ed efficacia nel trattamento dell’anemia secondaria a malattia renale. Lo scopo di questo articolo è illustrare i principali meccanismi molecolari responsabili dell’attivazione dei geni HREs, che hanno catturato l’attenzione dei nefrologi.

Parole chiave: Roxadustat, EPO, HIF, fibrosi, infiammazione, stress ossidativo

Introduzione

Il fattore inducibile dell’ipossia (HIF), antico sistema biologico con lo scopo di proteggere l’organismo dai danni dell’ipossia acuta e cronica, è il regolatore chiave della risposta alle variazioni della pressione parziale dell’ossigeno nel sangue dei mammiferi [1]. L’omeostasi dell’ossigeno è fondamentale per il corretto sviluppo nelle varie fasi della vita: dalla gestazione intrauterina (una bassa tensione di ossigeno durante lo sviluppo embrionale e fetale è essenziale per processi come vasculogenesi e angiogenesi) alla vita adulta [2]. La proteina HIF è un fattore di trascrizione elica-loop-elica, molecola eterodimero costituita da una subunità ɑ ossigeno sensitiva e una subunità ß costitutiva chiamata anche idrocarburo arilico traslocatore nucleare del recettore (ARNT) [3]. L’attività di HIF-ɑ è direttamente regolata dal dominio strutturale della prolil-idrossilasi  (PHD), un enzima sensibile alle variazioni di ossigeno [4]. Sono stati identificati 3 isoforme di PHD: PHD1, PHD2, PHD3, e 3 di HIF-ɑ: HIF-1α (826 aa), HIF-2α (870 aa), HIF-3α (557 aa) e un solo sottotipo di HIF-β (789 aa) [5]. HIF-1α e HIF-2α presentano una similitudine del 85%.  

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La infiammazione nelle malattie del rene

Abstract

Il termine “infiammazione” è certamente uno dei termini medici più antichi che continua ancora ad essere usato, ma nell’arco dei secoli il suo significato è cambiato. Il presente lavoro è una visione storica e critica del concetto di infiammazione, con particolare riferimento alle malattie renali. Nei secoli si passa da una definizione “sintomatica” della infiammazione ad una di tipo “isto-patologica”, caratterizzata da “infiltrati infiammatori” nei tessuti e divisa in sottocategorie a seconda del tipo cellulare coinvolto. Il vantaggio di tale classificazione è la generale risposta ai cortisonici (con poche eccezioni) e la disponibilità di farmaci specifici per ciascun tipo di infiltrato. Infine, si passa ad una definizione “molecolare” della infiammazione, in cui gli infiltrati cellulari cedono il posto ai mediatori chimici rinvenibili nel plasma. Gli autori mostrano che l’uso dei biomarcatori umorali ha portato a una inflazione del numero di patologie “infiammatorie”. Questo effetto è evidente anche in campo nefrologico.

Parole chiave: infiammazione, proteine fase acuta, nefrite, immunosoppressori

Introduzione

In pochi sanno che in tutti i libri medici, a partire dal 1900, è riportata una “invenzione” storica, ovvero che Aulo Cornelio Celso (26a.C-50dC) introdusse la tetrade dolor-rubor-tumor-calor per identificare la infiammazione e che Galeno (129 dC-c.a 200 dC) o, in alcuni testi, Rudolf Ludwig Karl Virchow (1821-1902) ha poi introdotto la functio laesa quale ulteriore sintomo di infiammazione. Questo è un “falso storico” che è stato reiterato nei tempi [1]. Nella realtà Celso era un enciclopedista, non un medico, e aveva compilato una quantità enorme di informazioni su molti svariati argomenti non inerenti alla medicina; ma per vari accidenti solo il suo trattato De Medicina è arrivato fino a noi. Nel secondo libro del De Medicina, Celso parla del caso della febbre accompagnata da mal di testa e dolore al torace, ed afferma, discutendo una opinione del suo tempo, “Notae vero inflammationis sunt quattuor: rubor et tumor cum calore et dolore” [2]. Questa affermazione non rientra però nel successivo corpus Galenico. Galeno tratta della infiammazione nel De Arte Curativa ad Glauconem [3] ed usa il termine inflammatio come una sorta di febbre locale: “Siccam [inflammationis] verò, quando nullo humore influente, calor naturalis efferuescit. Haec autem usque ad aliquid quidem veluti febris est membri”. Questa frase viene poi citata da Virchow come “inflammatio veluti febris est membri”. Successivamente, per i medici Galenici, il segno principe della infiammazione è solo il calore-fiamma (da cui infiammazione o flegma in greco), come spiegato da van Swieten nel 1776 [1], e rappresenta uno specifico tipo di Flemmone, una tumefazione di natura diversa dai Tumori. Alcuni autori Galenici, danno una lista di ben 7 sintomi per descrivere il flemmone (non la infiammazione): tumor, calor, rubor, pulsatio, tensio, durities, renixus, dolor [4].

 

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