Vecchi e nuovi antigeni di istocompatibilità dei trapianti

Abstract

Il sistema genetico che influenza maggiormente l’esito dei trapianti di organi è il Complesso Maggiore d’Istocompatibilità (MHC – Major Histocompatibility Complex), che nell’uomo è noto anche come sistema HLA (Human Leucocyte Antigens). Questi geni sono molto polimorfici, vale a dire che ogni individuo della popolazione ha ereditato un set di geni che si combinano in maniera pressoché unica. Essi codificano per glicoproteine di superficie delle cellule che dunque variano da un individuo all’altro e sono riconosciute come bersaglio in caso di trapianto dal sistema immunitario del ricevente.

Si considera che il giusto abbinamento per caratteristiche HLA tra donatore e ricevente possa spiegare meno della metà delle cause immunologiche di fallimento del trapianto. È ben conosciuto che differenze per altre caratteristiche genetiche possano essere responsabili di una quota non piccola dell’insuccesso del trapianto dovuto a cause immunologiche. Queste caratteristiche vengono definite geni (e i loro prodotti antigeni) minori d’istocompatibilità.

I nuovi approcci di studio del genoma consentono di esaminare tutta la variabilità di un ricevente, e di confrontarla con quella del donatore: in questo modo è possibile valutare se collisioni genetiche particolari (vale a dire incompatibilità per alcune di esse) possano influenzare l’esito del trapianto. Questi studi hanno consentito di definire nuovi geni la cui compatibilità tra donatore e ricevente può essere rilevante per il successo del trapianto.

Parole chiave: trapianti, genomica, istocompatibilità

Introduzione

La prevalenza globale della malattia renale allo stadio terminale (ESRD) continua a crescere. Nel 2016 negli Stati Uniti sono stati eseguiti 19.301 trapianti di rene e circa cinque volte di più nel mondo. Grazie ai miglioramenti nelle tecniche chirurgiche, nei protocolli di immunosoppressione e nella gestione clinica delle complicanze post-trapianto, i tassi di sopravvivenza a cinque anni del trapianto per i reni ottenuti da donatori deceduti e viventi hanno raggiunto livelli massimi rispettivamente del 75,3% e dell’85,3% [1-3]. Tuttavia, la prevalenza di casi di ESRD negli Stati Uniti ha continuato ad aumentare di circa 20.000 casi all’anno negli ultimi tre decenni, creando una maggiore necessità di allotrapianti renali. Si ritiene che questo aumento sia dovuto principalmente al peggioramento delle diete e ad altri fattori modificabili associati allo stile di vita occidentale, ma anche all’aumento della longevità dei casi di ESRD pre-trapianto.

È ben noto che i fattori genetici contribuiscono allo sviluppo e alla progressione di specifici tipi di malattia renale cronica (CKD), tuttavia molti studi precedenti sono stati di portata limitata a causa delle piccole dimensioni del campione e delle strategie di genotipizzazione [4-8]. Gli studi su famiglie con fenotipi gravi di malattie, come la sindrome di Alport e la malattia di Fabry, hanno contribuito in modo significativo alla comprensione delle caratteristiche genetiche di queste condizioni [9-11]. Tuttavia, le forme più lievi di queste malattie e il loro ruolo nello sviluppo dell’ESRD devono ancora essere esplorate in modo approfondito.

 

Array di genotipizzazione a livello del genoma

La genotipizzazione dell’intero genoma basata su array da diverse popolazioni di pazienti facilita la determinazione molto precisa dell’ascendenza utilizzando metodi come l’analisi delle componenti principali [12, 13]. Gli studi di associazione sull’intero genoma (GWAS) tra i pazienti con CKD hanno rilevato varianti genetiche sia rare sia comuni significativamente associate al declino della velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR) e alla microalbuminuria, alcuni dei più forti predittori di esiti di CKD, nonostante l’80% dei partecipanti GWAS avesse eGFR nell’intervallo normale [7, 14-18].

I risultati degli studi sull’intero genoma possono anche fornire nuovi bersagli terapeutici per rallentare la progressione dell’insufficienza renale cronica a ESRD, che può ritardare o influire sulla necessità di trapianto in alcune popolazioni di pazienti [19, 20]. Ad esempio, la cistinosi nefropatica, una rara malattia autosomica recessiva, è causata da una delezione di 57 kb nel gene CTNS in circa il 75% dei pazienti di origine europea e progredisce in ESRD se non trattata [21]. Tuttavia, è stato riscontrato che il trattamento con cisteamina orale entro i cinque anni di età riduce significativamente la prevalenza e ritarda l’insorgenza di ESRD [21]. Inoltre, almeno 38 geni sono stati associati allo sviluppo della glomerulosclerosi segmentaria focale genetica (FSGS), alcuni dei quali hanno dimostrato di essere responsivi al trattamento con glucocorticoidi [22]. I risultati del GWAS possono anche fornire informazioni sulla biologia dell’ESRD, aiutando a rimuovere l’eterogeneità diagnostica.

È stato riscontrato che i due alleli di rischio APOL1 (G1 e G2) trovati in alta frequenza nelle popolazioni dell’Africa subsahariana e fortemente associati a FSGS e nefropatia da HIV attivano la protein chinasi R, inducendo così danno glomerulare e proteinuria [23-25].

Nel complesso, i risultati dello screening dell’intero genoma possono consentire ai medici di fornire diagnosi genetiche accurate per la causa primaria dell’ESRD, consentendo una gestione terapeutica tempestiva ed efficace e aiutando nella valutazione dei membri della famiglia come donatori viventi [26].

 

Sequenziamento dell’intero esoma e dell’intero genoma

Nell’ultimo decennio, gli approcci di sequenziamento dell’intero esoma (WES) e di sequenziamento dell’intero genoma (WGS) sono stati utilizzati con successo per scoprire e diagnosticare disordini genetici in un contesto clinico [27-30]. Il WES in genere fornisce una copertura del sequenziamento sufficiente su circa il 95% dei nucleotidi nelle regioni codificanti catturate ed è stato utilizzato per diagnosticare rari disturbi mendeliani ad alta penetranza, scoprire varianti comuni e identificare mutazioni causali nel cancro [31, 32]. Il WES è stato recentemente implementato come strumento diagnostico di prima linea nella medicina clinica.

In uno studio su feti con anomalie congenite del rene e delle vie urinarie (CAKUT), sono state scoperte varianti patogene nel 13% dei casi [33]. Il WES è stato applicato anche all’insufficienza renale cronica e all’ESRD a esordio nell’adulto, in cui circa il 10% dei casi è causato da mutazioni mendeliane [28, 30, 34]. In una coorte di >3.000 pazienti con insufficienza renale cronica avanzata ed ESRD accertati per uno studio clinico, WES ha identificato varianti diagnostiche nel 9,3% dei pazienti che comprendevano 66 malattie monogeniche [30]. Delle 343 varianti rilevate, 141 (40%) non erano state precedentemente segnalate come patogene. Inoltre, sono state identificate varianti diagnostiche nel 17,1% degli individui con nefropatia di origine sconosciuta, modificando la gestione medica avviando cure multidisciplinari, richiedendo il rinvio a studi clinici e guidando la selezione dei donatori per il trapianto [30].

Tuttavia, va notato che molti studi sulla CKD che utilizzano WES hanno avuto difficoltà per ottenere popolazioni di controllo adeguate.

WGS è l’approccio più completo per il rilevamento di varianti ereditarie a causa di una copertura più completa dell’intero genoma, sebbene vi siano ulteriori sfide rispetto a WES. WGS può catturare varianti genetiche a singolo nucleotide, piccole inserzioni e delezioni (Indels) e varianti di numero di copie (Cnvs) in tutto il genoma umano, comprese le regioni non codificanti proteine. Sebbene abbia un costo per campione più elevato e possa essere più difficile da analizzare rispetto a WES, risultati diagnostici sono evidenti nei pazienti con risultati WES negativi o inconcludenti [35-36]. È stato dimostrato che il WGS identifica una variante genetica diagnostica in circa il 10-50% degli individui con una sospetta malattia genetica, a seconda della popolazione dello studio clinico sottoposta a screening [30, 37, 38].

Nonostante i progressi tecnologici che consentono di condurre la ricerca su scala genomica, molti studi sono stati ostacolati da piccole dimensioni del campione in singoli centri di trapianto, nonché dal vasto numero di covariate cliniche complesse di donatori e riceventi e fenotipi correlati alla malattia osservati nel trapianto.

Il Wellcome Trust Case Control Consortium (WTCCC) ha realizzato il primo GWAS su larga scala con DNA sia del donatore che del ricevente di trapianto di rene con l’obiettivo di identificare varianti genetiche, oltre alle regioni HLA, che contribuiscono in modo significativo a lungo e/o breve termine alla sopravvivenza dell’allotrapianto renale [39]. In questo studio iniziale, a livello genomico non sono stati osservati con significatività segnali riferiti a regioni diverse dall’HLA, illustrando la necessità di armonizzare coorti di trapianto di rene più ampie e con fenotipo certo. Oltre alla variante comune CYP3A5*3 di perdita di funzione (rs776746), scoperta in precedenza, lo studio DeKAF (Deterioration of Kidney Allograft Function) ha identificato due varianti del CYP3A5, rs10264272 e rs41303343, e una variante del CYP3A4, rs35599367, che spiegano ulteriori porzioni di varianza osservate per le concentrazioni ematiche di Tacrolimus aggiustate per la dose (TAC) per i trapiantati di rene sia afroamericani (AA) sia europei (EA) [40-43]. Questi risultati illustrano l’utilità degli studi sull’intero genoma nel determinare i regimi di terapia immunosoppressiva post-trapianto, contribuendo potenzialmente a miglioramenti nella sopravvivenza dell’allotrapianto renale. Un altro studio [44] ha mostrato che il GWAS può predire le complicanze post-trapianto. I punteggi di rischio poligenico calcolati dal GWAS del cancro della pelle diversi dal melanoma (NMSC) nella popolazione generale hanno predetto il rischio e il tempo di insorgenza nel post-trapianto di NMSC e hanno aggiunto un valore predittivo aggiuntivo oltre a quello spiegato dalle variabili cliniche [45].

Gli array di genotipizzazione dell’intero genoma sono ben consolidati come mezzo efficace per l’identificazione di CNV noti e nuovi [46-48]. Lo screening delle CNVs all’interno dei soggetti è di grande interesse sia per la valutazione dell’architettura genetica della malattia primaria sia per gli studi di eventuali ulteriori regioni genomiche i cui prodotti sono bersaglio di una risposta alloimmune. iGeneTRAiN ha sviluppato un’ampia pipeline di perdita di funzione (Loss of Function – LoF) che include la ricostruzione dell’aplotipo di oltre 10 milioni di varianti genotipizzate e imputate direttamente. Si è particolarmente interessati a varianti di perdita di funzione in entrambe le copie dello stesso gene (mediante varianti a singolo nucleotide e/o CNV). Le combinazioni più interessanti sono quelle in cui il ricevente risulta LoF per entrambe le copie di un gene, mentre il donatore risulta omozigote per copie corrette o eterozigote per una LoF. L’analisi di queste combinazioni donatore-ricevente (o “collisioni genomiche”), consente di identificare associazioni tra regioni genomiche precedentemente ignorate con eventi di rigetto e perdita del trapianto [44].

Lo screening CNV in regioni a priori coinvolte per la malattia primaria è stato eseguito in coorti iGeneTRAiN. Ad esempio, è stato eseguito lo screening CNV in pazienti con nefronoftisi (NPH), la causa genetica più comune di ESRD nei bambini e spesso causata da delezioni omozigoti del gene NPHP1 completo [49-52]. In iGeneTRAiN, è stata precedentemente esaminata questa regione in un sottogruppo ad esordio nell’adulto (circa 5.600 pazienti). Dei soggetti analizzati, 26 pazienti hanno mostrato delezioni omozigoti di CNV in NPHP1. È interessante notare che solo il 12% di questi pazienti era stato precedentemente diagnosticato come affetto da NPH e molti presentavano ESRD più tardi nell’età adulta [26]. Pertanto, l’utilizzo della perdita del gene in due copie di NPHP1 dagli array genomewide per accertare lo stato dell’NPH ed esaminare le informazioni relative all’NPH, inclusa l’accuratezza dell’accertamento del caso e l’età di insorgenza, mostra una forte prova di principio per l’uso in altre malattie autosomiche recessive/dominanti ad alta penetranza e la necessità di un ulteriore sequenziamento per varianti rare a singolo nucleotide in pazienti con ESRD ad esordio adulto. Inoltre, in una recente analisi dell’intero genoma delle CNV in quasi 3.000 casi di CAKUT, sono stati identificati 45 disturbi genomici distinti e noti in 37 loci genomici indipendenti nel 4% dei casi di CAKUT e sono stati trovati nuovi disturbi genomici in un ulteriore ~ ​​2% di casi [47].

Grazie ad un approccio del genere, in un recente studio collaborativo di più coorti di pazienti di origine geografica differente sottoposti a trapianto di rene, è stato identificato LIMS1 come nuovo antigene minore di istocompatibilità. In maniera riproducibile in tutte le coorti, i riceventi che risultavano possedere varianti LoF di questo gene in entrambe le copie, avevano una prospettiva di successo del trapianto significativamente peggiore, ed un rischio di rigetto aumentato. È stato inoltre possibile rilevare nei sieri dei pazienti omozigoti per varianti LoF di LIMS1, la presenza di anticorpi in grado di riconoscere la proteina prodotta da questo gene [48].

La genotipizzazione e l’imputazione dell’intero genoma utilizzando grandi set di dati di sequenziamento dell’intero genoma (WGS), come il progetto 1000 genomes (1KGP), in genere non è in grado di identificare varianti nelle popolazioni ancestrali più comuni con una frequenza allelica minore (MAF) di <0,005, tuttavia è spesso possibile identificare CNV rare utilizzando sonde monomorfiche o basate su SNP che siano specifiche per i loci di interesse.

 

Conclusioni

Gli studi di genotipizzazione dell’intero genoma sono diventati molto convenienti e semplificati. Tuttavia, sono necessarie grandi dimensioni del campione, dell’ordine di 10.000-100.000, per rilevare sia varianti rare con contributi grandi che varianti comuni con contributi minori a uno o più fenotipi specifici [53]. Sebbene sia molto importante rafforzare il potere statistico per rilevare le basi genetiche dei fenotipi correlati al trapianto aggregando coorti simili, è necessario prestare grande attenzione quando si combinano set di dati di genotipizzazione e fenotipizzazione, soprattutto perché le covariate dello studio dei trapianti sono molto complesse e possono variare notevolmente in base all’era e regione geografica. Occorre disporre di una pipeline unificata di analisi GWAS per il controllo dei dati e per garanzia di qualità, compresi gli aggiustamenti per la stratificazione basata sulla popolazione [49].

Le analisi degli studi di associazione si adattano a tutte le covariate di studio note/disponibili, inclusi i dati demografici del paziente e le caratteristiche cliniche. Gli array di genotipizzazione dell’intero genoma sono generalmente scarsi nel rilevare varianti patogene di frequenza più rare, ad eccezione di CNV medio-grandi. I progressi significativi nelle tecnologie genomiche e il costo decrescente delle analisi WES/WGS negli ultimi anni hanno reso sempre più fattibile condurre studi sull’intero genoma meglio progettati in un ambiente clinico [54]. Tuttavia, esistono ancora vantaggi significativi nell’avere set di dati di array di genotipizzazione dell’intero genoma, poiché sul DNA originale vengono generalmente eseguite rigorose misure di controllo della qualità e della concordanza di genere, di discendenza e di tipizzazione HLA, che possono essere fatte prima di passare alle piattaforme WES o WGS per una caratterizzazione genetica più approfondita. I GWAS sono in grado di fornire informazioni dettagliate sui punteggi di rischio genetico e sui CNV patogeni, poiché le varianti dell’intero genoma sono coperte da array convenzionali di genotipizzazione dell’intero genoma [13, 26, 44, 55, 56]. Ad esempio, una metanalisi su 36 articoli ha identificato tre varianti genetiche che sono significativamente associate al diabete di nuova insorgenza dopo il trapianto (NODAT), tutte varianti note di fattori di rischio per il diabete di tipo 2. L’integrazione e l’analisi di set di dati multi-omici ampi e complessi è stata dimostrata in una serie di recenti pubblicazioni ad alto impatto, che in generale aumentano, di circa 10 volte, il potere statistico di rilevare e illustrare varianti funzionali [57-60].   I dati genomici possono essere integrati con i risultati di studi sui trapianti di proteomica, metabolomica e trascrittomica per caratterizzare ulteriormente i rischi clinici e consentire trattamenti personalizzati, poiché numerosi studi dispongono di set di dati/campioni multi-omici [48].

L’avvento del sequenziamento dell’RNA unicellulare (RNASeq) ha prodotto importanti approfondimenti sulla biologia della CKD. Gli atlanti dei tratti quantitativi di espressione (eQTL) sono stati generati per i compartimenti glomerulari e tubulari da cellule renali umane. È stato dimostrato che l’integrazione dei risultati degli studi sull’intero genoma della CKD con eQTL da RNAseq e delle mappe della regione regolatoria nota permette di identificare nuovi geni della CKD [61].

Il progetto Human Cell Atlas è un’importante iniziativa internazionale che mira a creare mappe di riferimento complete di tutte le cellule umane per ottenere informazioni fondamentali sulla comprensione della salute umana e aiuterà senza dubbio nella diagnosi e nella sorveglianza di una serie di malattie [62].

Poiché la popolazione dei trapiantati di rene e dei donatori continua a crescere, con l’aumentare dei risultati post-trapianto, saremo in grado di aumentare ulteriormente la nostra conoscenza delle basi genetiche dell’ESRD, della malattia primaria e degli esiti post-trapianto, come rigetto acuto e perdita dell’innesto. Questi approcci di sequenziamento possono fornire ulteriori informazioni sulle interazioni donatore-ricevente che influenzano i risultati del trapianto. Sebbene sia ben stabilito che le corrispondenze alleliche tra i loci HLA influiscono sugli esiti clinici dopo il trapianto, vi è una scarsità di ricerche sull’intero genoma condotte per identificare le interazioni donatore-ricevente indipendentemente dall’HLA [8, 48, 63, 64]. Un recente studio iGeneTRAiN sul trapianto di rene ha mostrato una ridotta sopravvivenza dell’allotrapianto nei riceventi che presentano un aumento degli SNP non sinonimi (nsSNP) che coinvolgono proteine transmembrana renale. È stato inoltre dimostrato che è possibile rilevare alloanticorpi contro peptidi amminoacidici personalizzati progettati con un certo numero di questi nsSNP transmembrana renali utilizzando sieri di questi pazienti [65]. Infine, i dati di tutti gli studi sui trapianti di rene possono essere utilizzati per tutti gli altri organi al fine di ottenere ulteriori informazioni sulla genetica del rigetto acuto, della sopravvivenza dell’allotrapianto/paziente e degli esiti farmacogenomici.

 

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Gestione del paziente in dialisi e con trapianto di rene in corso di infezione da coronavirus Covid-19

Abstract

L’emergenza sanitaria che ci troviamo ad affrontare è qualcosa di nuovo per tutti noi e richiede l’identificazione di approcci condivisi, specialmente per quelle categorie di pazienti che definisco la nostra specialità (emodializzati, trapiantati). Brescia rappresenta al momento della stesura di questo documento un focolaio infettivo molto attivo (2918 casi al 17/03/2020) e secondo solo a Bergamo. La logistica della nostra struttura ci ha consentito una riorganizzazione tale per cui i casi di pazienti trapiantati ed emodializzati Covid-19 positivi vengono ad essere gestiti direttamente nel nostro reparto; al momento della stesura di questo documento stiamo gestendo/abbiamo gestito su un’ampia rete territoriale 20 pazienti portatori di trapianto renale e 17 emodializzati. Questo ci ha posto di fronte alla necessità di un approccio organico, volto non solo alla gestione clinica dei pazienti ma anche all’organizzazione di un apparato di ricerca su questa malattia. Questo approccio è esitato nella stesura delle linee guida allegate, originariamente intese per un uso interno, ma che riteniamo possano rappresentare un punto di riflessione per altri colleghi che dovranno fronteggiare gli stessi problemi. Abbiamo inoltre avviato una raccolta dati su questi pazienti al fine di meglio comprendere la patologia, le sue dinamiche e le modalità di gestione; per chi fosse interessato chiediamo di contattarci per coordinare uno sforzo comune in tal senso.

Parole chiave: Covid-19, Brescia, nefrologia, dialisi, trapianto, linee guida

Introduzione

L’epidemia da Covid-19 in Lombardia richiede la messa a punto di un protocollo nei pazienti nefropatici, in particolare nei pazienti in trattamento dialitico e in quelli portatori di trapianto renale.

Recentemente, il China CDC ha pubblicato la più ampia casistica di Covid-19, che includeva 44672 casi; da questo studio emerge una mortalità totale del 2.3%. I fattori di rischio principali sembrano essere, oltre all’età (mortalità dell’1.3% nella fascia 50-59, 3.6% nella fascia 60-69, 8% nella fascia 70-79 e 14.8% nella fascia ≥80 anni), la presenza di malattie cardiovascolari (mortalità 10.5%), diabete (mortalità 7.3%), malattie respiratorie croniche (mortalità 6.3%), ipertensione arteriosa (mortalità 6%) e neoplasie (mortalità 5.6%) [1,2]. Nella regione Lombardia, tuttavia, la malattia sembra avere una mortalità decisamente maggiore di quella riportata in Cina, e questo deve indurci a studiare con attenzione tutti i fattori potenzialmente responsabili di questo andamento.

Le comorbidità associate ad aumentata mortalità in corso d’infezione da Covid-19 sono molto frequenti nei pazienti affetti da Insufficienza Renale Cronica (IRC) e nei pazienti in corso di terapia sostitutiva della funzione renale mediante emodialisi. Non esistono inoltre, al momento, dati solidi sui pazienti Covid-19 positivi in trattamento dialitico e nei portatori di trapianto di rene in cui, oltre ai vari fattori di rischio cardiovascolare, esiste una condizione di ridotta immunocompetenza.

Al momento della prima stesura di questo documento (17/03/2020) abbiamo seguito presso la nostra struttura di Brescia e l’annessa rete territoriale 20 pazienti trapiantati e 17 pazienti dializzati; la nostra preliminare esperienza suggerisce che la malattia ha un decorso severo, con outcome potenzialmente fatale, soprattutto nel sottogruppo di pazienti portatore di trapianto renale. Inoltre, un numero consistente di pazienti nefropatici con Covid-19 sono stati seguiti preso i centri di Lodi, Cremona, Manerbio, Montichiari e Chiari, che aderiscono alla task force di Brescia. L’esperienza cinese suggerisce che la malattia abbia un andamento meno severo nei pazienti dializzati, non solo rispetto ai pazienti con trapianto renale, ma anche ai pazienti non nefropatici. Questa è anche l’esperienza iniziale di Brescia, ma non è confermata da tutti i centri partecipanti alla nostra task force. Ovviamente, in assenza di dati adeguati sia nella popolazione generale (percentuale di asintomatici) che nei pazienti nefropatici, non è possibile formulare riflessioni conclusive. Proprio per questo, stiamo raccogliendo in dettaglio dati clinici e di laboratorio nei nostri pazienti, per poter condividere con la comunità nefrologica le caratteristiche cliniche e di outcome della malattia nei nefropatici.

In generale, l’ottimale gestione della patologia è ancora dibattuta e l’approccio terapeutico è privo di significative evidenze. L’indicazione alla terapia anti-retrovirale è dubbia e, ad oggi, non esiste alcun farmaco registrato per il trattamento di infezioni da Covid-19 [3]. Tuttavia, ci si può avvalere dell’esperienza derivante dall’uso di agenti anti-virali su virus appartenenti alla medesima famiglia di Beta-coronavirus (SARS e MERS); bisogna comunque considerare come la condizione di emergenza fornisca una buona ragione per l’utilizzo di antivirali, nonostante la mancanza di evidenze scientifiche preliminari. Nei pazienti affetti da IRC avanzata si pone inoltre la problematica dell’aggiustamento della terapia per il grado di funzione renale e, nei pazienti portatori di trapianto renale, la necessità di un’attenta modulazione della terapia immunosoppressiva; al momento non esistono chiare linee guida per la gestione di questi pazienti [4].

Al momento, Brescia rappresenta il secondo focolaio in Italia dopo Bergamo (2918 casi al 17/03/2019). Un gruppo di lavoro formato da infettivologi e intensivisti lombardi ha messo a punto un protocollo di terapia nei pazienti con Covid-19, sulla base della severità di malattia: le Linee guida sulla gestione terapeutica e di supporto per pazienti con infezione da coronavirus COVID-19. Edizione 2.0, del 12 marzo 2020. Mutuando in parte il background infettivologico ed intensivista del protocollo, abbiamo adattato questo approccio ai nostri pazienti in trattamento dialitico e con trapianto di rene, creando questa Proposta di schema di gestione terapeutica di pazienti emodializzati e trapiantati affetti da Covid-19 (cliccando questo link è possibile scaricare il documento in questione). Di seguito, forniremo inoltre alcune considerazioni logistiche derivanti dalla nostra esperienza diretta sulla gestione dei flussi di pazienti in corso di epidemia da Covid-19.

 

Trattamento farmacologico

Clorochina e idrossiclorochina: evidenze sperimentali supporterebbero un ruolo anti-virale in vitro e nel modello animale per la clorochina nei confronti del virus SARS e dell’influenza aviaria. Un panel di esperti cinesi supporta l’utilizzo del farmaco in ragione di un beneficio in termini di ospedalizzazione e outcome generale del paziente [5].

Lopinavir/ritonavir: evidenze aneddotiche supporterebbo un possibile ruolo di questo antiretrovirale di seconda generazione in corso di infezione da Covid-19.

Darunavir/ritonavir e darunavir/cobicistat: potenziali alternative al Lopinavir/ritonavir in ragione del meccanismo d’azione analogo.

Remdesivir: è un analogo nucleotidico il cui meccanismo d’azione consiste nell’incorporazione del farmaco nelle catene di RNA neosintetizzate. Viene proposto, in modelli animali e in vitro, un suo possibile ruolo nel ridurre la carica virale e nel migliorare i parametri di funzionalità polmonare [6,7]. Due trials clinici sono attualmente in corso in Cina.

Corticosteroidi: l’utilizzo dei corticosteroidi sarebbe controindicato nelle fasi iniziali della patologia. Dati suggeriscono tuttavia un loro ruolo nella gestione della sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), con un impatto significativo sulle curve di sopravvivenza dei pazienti trattati [8].

Tocilizumab: sulla scorta del ruolo centrale che l’IL6, in associazione ad altre citochine pro-infiammatorie, sembrerebbe avere nello sviluppo di ARDS indotta da Covid-19, il Tocilizumab potrebbe aver un ruolo nella gestione di casi selezionati, in assenza di controindicazioni maggiori.

 

Considerazioni logistiche

Riteniamo assolutamente necessaria un’adeguata pianificazione logistica nella gestione di questa emergenza sanitaria. Nel trattare questi pazienti si devono conciliare protocolli infettivologici (es. isolamento) con necessità intrinseche alla nostra specialità, come quella di movimentare i pazienti per l’emodialisi. La nostra esperienza, se pur ancora limitata, sembra suggerire un outcome migliore nei pazienti trapiantati gestiti direttamente in un reparto nefrologico rispetto al gruppo gestito in altre aree Covid generali e valutati dal nefrologo solo in consulenza.

La peculiare organizzazione logistica della nostra struttura ci ha in questo senso consentito un modello organizzativo efficiente. Riportiamo qui uno schema della nostra struttura:

 

Piano 1:

Piano 2:

A partire dal 27-28 febbraio abbiamo impostato una riduzione dei posti letto del Reparto femminile e un aumento delle dimissioni nel reparto maschile con successivo trasferimento delle pazienti donna non dimissibili nel lato maschile. Nella notte tra il 27 e 28 febbraio abbiamo ricoverata la prima paziente portatrice di trapianto di rene e positiva al virus, successivamente trasferita in terapia intensiva per deterioramento clinico. Al 28 febbraio, la situazione logistica era la seguente; da notare che nell’area COVID erano disponibili attrezzature ed impianti per l’eventuale effettuazione di emodialisi.

 

Piano 1:

Piano 2:

Tra il 2 e il 4 marzo abbiamo ricoverato i primi pazienti positivi nell’area COVID; in questa fase, la necessità era rivolta quasi esclusivamente ai pazienti trapiantati, avendo il nostro centro un grosso bacino d’utenza che include anche le aree di Lodi e Codogno. Il progressivo afflusso di pazienti positivi presso il nostro ospedale, unito alla necessità di accogliere pazienti emodializzati, ha quindi portato allo spostamento del reparto maschile e femminile al piano 2, alla chiusura del centro trapianti e alla rimodulazione degli spazi centrali del reparto in sale da emodialisi, in parte destinate a pazienti Covid positivi, in parte destinate a pazienti negativi.

 

Piano 1:

Piano 2:

In conclusione, ricordiamo nuovamente che le nostre linee guida per la gestione terapeutica dei pazienti emodializzati e trapiantati può essere scaricata qui.

 

La “Brescia Renal Covid Task Force”

Federico Alberici, Università degli Studi di Brescia, Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Sanità Pubblica; ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Elisa Del Barba, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Chiara Manenti, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Laura Econimo, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Francesca Valerio, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Alessandra Pola, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Camilla Maffei, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Possenti Stefano, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Nicole Zambetti, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Margherita Venturini, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Stefania Affatato, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Paola Piarulli, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Mattia Zappa, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Guerini Alice, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Fabio Viola, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Ezio Movilli, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Paola Gaggia, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Sergio Bove, ASST Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Montichiari (BS), Italia

Marina Foramitti, ASST Cremona, Unità Operativa di Nefrologia, Cremona, Italia

Paola Pecchini, ASST Cremona, Unità Operativa di Nefrologia, Cremona, Italia

Raffaella Bucci, ASST Lodi, Unità Operativa di Nefrologia, Lodi, Italia

Marco Farina, ASST Lodi, Unità Operativa di Nefrologia, Lodi, Italia

Martina Bracchi, ASST Franciacorta, Unità Operativa di Nefrologia, Chiari (BS), Italia

Ester Maria Costantino, ASST del Garda, Unità Operativa di Nefrologia, Manerbio (BS), Italia

Fabio Malberti, ASST Cremona, Unità Operativa di Nefrologia, Cremona, Italia

Nicola Bossini, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Mario Gaggiotti, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Francesco Scolari, Università degli Studi di Brescia, Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Sanità Pubblica; ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

 

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