Marzo Aprile 2024 - In depth review

La dialisi palliativa e di supporto: stato dell’arte e proposte per una buona pratica clinica

Abstract

Per dialisi “di supporto” o “palliativa” si intende il trattamento dialitico rivolto a pazienti che giungono alle fasi più avverse di malattia e nella fase finale della loro vita. Quando le condizioni di salute, le comorbidità, la prognosi sfavorevole e le complicanze legate alla malattia renale avanzata non consentono l’avvio o la prosecuzione del trattamento dialitico standard, occorre identificare i criteri con cui proporre schemi dialitici mirati, integrati con adeguate cure di supporto, sia a pazienti incidenti che prevalenti.

Questo documento riassume le raccomandazioni nefrologiche e le evidenze scientifiche in tema di approccio palliativo alla dialisi, e avanza una proposta operativa per una buona gestione clinica della dialisi palliativa. Dopo un percorso di pianificazione condivisa della cura (“shared-decision-making”) che prevede la valutazione multidimensionale del malato, l’inquadramento prognostico e l’esplicitazione degli obiettivi personali e di salute del paziente, ha inizio un iter di cura mirato a integrare le opzioni terapeutiche disponibili, l’appropriatezza e proporzionalità della cura, e le preferenze del paziente, condivise con i suoi caregiver. Con l’obiettivo di ridurre l’impatto del trattamento dialitico sulla qualità di vita, di garantire un adeguato controllo dei sintomi, di favorire la domiciliazione delle cure e ridurre le ospedalizzazioni nella fase finale della vita, proponiamo una raccolta di indicazioni che agevolino il nefrologo nel mettere in pratica misure di proporzionalità di trattamento nelle condizioni di maggiore fragilità clinica del malato, e nel favorire un percorso decisionale e di cura ad oggi sempre più necessario nella pratica nefrologica, ma non ancora standardizzato.

Parole chiave: cure palliative, malattia renale cronica, fine vita, dialisi palliativa, emodialisi, dialisi peritoneale, pianificazione condivisa delle cure

Introduzione

L’applicazione dei principi della medicina palliativa nei pazienti affetti da malattia renale ha lo scopo di alleviare le sofferenze legate alla malattia e al suo trattamento, ed è appropriata lungo l’intera traiettoria di malattia, incluso (ma non limitato a) il fine vita [1]. L’attenzione è focalizzata sul trattamento dei sintomi e sul sollievo dell’impatto psicologico, sociale e funzionale della malattia. Poiché le cure palliative trovano indicazione ben oltre gli ultimi giorni di vita, quando sono ancora in atto cure volte a prolungare la sopravvivenza, come la dialisi, le linee guida nefrologiche internazionali ne hanno definito i criteri per la popolazione affetta da malattia renale cronica (Chronic Kidney Disease, CKD), e hanno introdotto il termine di “Kidney Supportive Care” (cure nefrologiche di supporto o cure simultanee), in luogo di “cure palliative” [2, 3].

Se confrontati con i pazienti oncologici, i pazienti affetti da CKD avanzata hanno più probabilità di morire in ospedale, meno probabilità di ricevere istruzioni sul fine vita, e sono gravati da analoga incidenza di sintomi severi, quale il dolore moderato-severo [4].

In Italia nel 2015 viene pubblicato un documento intersocietario (SIN-SICP) da nefrologi e palliativisti, che riassume i criteri prognostici e di identificazione precoce dei bisogni di cure di supporto nella fase finale della CKD, e suggerisce un percorso condiviso con i palliativisti di presa in carico di questi pazienti, percorso che contempla anche la rimodulazione e la sospensione della dialisi, quando in atto [5]. Questo documento ha gettato le basi per l’implementazione delle cure palliative e simultanee nel nostro paese, consentendo di sviluppare le prime esperienze condivise: presso l’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento dal 2017 è stato attuato un protocollo integrato di cura per la gestione della fine della vita dei nostri nefropatici e dializzati [6].

In UK la NHS (National Health Service) ha redatto un documento nel 2015 revisionato nel 2016 (NHS Improving Quality), dal titolo “End of Life Care in Advanced Kidney Disease: A Framework for implementation” che si pone l’obiettivo di assicurare alla popolazione con malattia renale avanzata le migliori cure nei loro ultimi anni, mesi o giorni di vita. Anche questa guida sottolinea che l’inquadramento dei bisogni di cure di supporto e palliative è particolarmente appropriato nel trattamento conservativo della malattia renale allo stadio finale (End-stage Kidney Disease, ESKD) nei pazienti che peggiorano nonostante il trattamento dialitico, nei pazienti che sviluppano ESKD a causa di altra malattia potenzialmente mortale e in tutti i casi in cui si consideri la sospensione della dialisi. Secondo il documento i nefrologi devono acquisire la capacità e le competenze per riconoscere nei loro pazienti quei segni che identificano l’approssimarsi della fase di fine vita. Nel contempo dovrebbero affinare la capacità di comunicare con il paziente e i care-giver, e di creare rete con i professionisti e gli specialisti delle cure palliative [7].

Recentemente negli Stati Uniti un trial multicentrico ha valutato come migliorare l’accesso a percorsi integrati di cure palliative per i pazienti in dialisi. Il gruppo americano ha condiviso 14 raccomandazioni di best-practice per la cura di pazienti con CKD severamente compromessi e implementato tre principi chiave nella pratica clinica: identificazione sistematica della severità clinica, comunicazione degli obiettivi di cura in questa popolazione e uso di piani di dialisi palliativa [8, 9].

Si intende per “dialisi di supporto” o “palliativa” il trattamento dialitico intrapreso ex novo, o rimodulato se già in corso (anche “dialisi decrementale”), indirizzato a pazienti che giungono nella fase più critica della malattia e infine nella fase finale della loro vita, quando le condizioni di salute e gli obiettivi di cura sono preclusivi all’esecuzione o prosecuzione di una terapia sostitutiva massimale. Si fa riferimento a un periodo nel quale gli standard di cura orientati alla massima riabilitazione, oltre che alla sopravvivenza, diventano secondari, mentre diviene prioritario garantire la migliore qualità di vita e il controllo dei sintomi, minimizzare l’impatto del trattamento dialitico e le sue complicanze, accompagnare paziente e famigliari nella consapevolezza della traiettoria di malattia e di vita [10].

Questo approccio al trattamento dialitico indirizzato a pazienti affetti da estrema fragilità e con aspettativa di vita limitata, si allinea con i principi della medicina per bisogni, con la necessità avvertita da tempo di muovere dalla cura della malattia alla cura della persona e con le più recenti raccomandazioni KDIGO riguardo alla dialisi “centrata sul paziente” [11 – 13]. 

L’acquisizione da parte del nefrologo di competenze primarie sui principi delle cure palliative e di supporto e la collaborazione con gli specialisti di cure palliative secondo un percorso integrato di cura, rappresenta pertanto un obiettivo indispensabile, che deve muovere dalla teoria alla pratica.

 

Popolazioni a confronto: pazienti incidenti e prevalenti

Pazienti incidenti

La fragilità clinica e le comorbidità, insieme ai deficit funzionale e cognitivo, espongono i pazienti con CKD avanzata a eventi avversi, elevata mortalità, ospedalizzazioni. In queste condizioni non sempre il trattamento dialitico offre vantaggi di sopravvivenza, né di qualità di vita [4].

L’organismo europeo della società scientifica nefrologica (ERA-EDTA) nel 2016 pubblicava le linee guida di pratica clinica sulla gestione del paziente anziano con CKD di stadio 3b o più avanzato, proponendo un percorso che tiene in considerazione il rischio di mortalità indipendente dalla malattia renale, e il rischio di progressione allo stadio terminale, identificando i pazienti a cui proporre la terapia conservativa e le cure di supporto secondo un percorso di pianificazione condivisa della cura [14]. In questo percorso di “shared-decision-making” (SDM), l’équipe medica raggiunge con il paziente una decisione condivisa e consapevole riguardo alla prospettiva di cura della malattia renale, decisione fondata sulla onesta comunicazione prognostica, sulla esplicitazione da parte del paziente degli obiettivi di salute e personali, sulla proposta delle opportunità di cura appropriate, inclusi rischi e benefici [15].

Qualora il paziente decida di intraprendere il trattamento dialitico, sebbene in presenza di criteri prognostici sfavorevoli, e consapevole dei rischi e benefici di questa opzione terapeutica, può essere indicato un approccio palliativo al trattamento dialitico. Un simile approccio nella prescrizione dialitica si rifà all’esperienza della dialisi incrementale, ma in questa accezione: nel paziente fragile con ridotta aspettativa di vita, la preservazione della funzione renale residua (FRR), se presente, e la dose dialitica incrementale vanno intese con l’obiettivo di prescrivere una dialisi a “basse dosi” per favorirne la tollerabilità, minimizzando l’impatto sulla vita quotidiana della persona, con l’obiettivo di mantenere l’euvolemia e il controllo dei sintomi [16].

A questo proposito occorre precisare che gli standard di prescrizione ed efficienza dialitica hanno scarsa evidenza clinica sulla popolazione di pazienti più fragili e più anziani. Lo studio DOPPS ha analizzato dati di dialisi in pazienti dializzati di 12 paesi, dimostrando uniformità di prescrizione su sottogruppi di pazienti che pure hanno diverse esigenze cliniche. Ciò evidenzia la diffusa attitudine dei nefrologi ad applicare il medesimo standard di prescrizione dialitica, e la difficoltà a mettere in atto criteri di trattamento personalizzato [17]. Il concetto di adeguatezza dialitica dovrebbe tenere in considerazione altri obiettivi oltre agli indici depurativi biochimici, soprattutto negli anziani fragili, in cui la prescrizione standard può essere sproporzionata rispetto ai bisogni depurativi e accompagnarsi a numerosi eventi avversi [12, 18].

La dialisi peritoneale (DP) può essere considerata il trattamento di scelta per i pazienti fragili con breve aspettativa di vita, in quanto presenta considerevoli vantaggi rispetto all’emodialisi per questa categoria di pazienti: la possibilità di evitare spostamenti, limitando i trasporti e il relativo disagio per la persona malata; una migliore stabilità cardiovascolare e tolleranza al trattamento; la maggiore conservazione della diuresi residua e un migliore stato nutrizionale; la prescrizione dialitica più facilmente adattabile allo stile di vita del paziente e alla disponibilità dei suoi caregiver. Anche le più recenti linee guida per la dialisi peritoneale sottolineano come l’obiettivo terapeutico del trattamento con dialisi peritoneale non debba limitarsi all’adeguatezza depurativa dialitica, bensì a una più globale possibilità di restituzione del paziente a una condizione di vita sociale e di autonomia tale da permettergli la migliore riabilitazione e qualità di vita possibile. Con la dialisi peritoneale l’approccio al paziente anziano e fragile, soprattutto se non autonomo, può privilegiare un minor carico del trattamento sul paziente o sul suo caregiver, a scapito di obiettivi depurativi ottimali, pur garantendo il controllo dei sintomi uremici e del bilancio idrosalino [19, 20]. Tuttavia, in Italia proprio per questi pazienti il trattamento peritoneale domiciliare è spesso precluso perché non idonei, non autonomi o non supportati da un idoneo caregiver. Vi sono esperienze internazionali in letteratura di percorsi di dialisi peritoneale palliativa assistita, messi in atto con l’ausilio di una assistenza infermieristica al domicilio [21]. Nel nostro paese, oltre ai programmi di teledialisi dove il trattamento peritoneale domiciliare è supportato a distanza con strumenti di tele-medicina, vi sono isolate esperienze di dialisi peritoneale assistita (DPAss), al domicilio o in residenza protetta, che superano la mancanza di autonomia o di adeguato caregiver del paziente grazie all’integrazione della figura infermieristica territoriale (Infermiere di Famiglia e di Comunità: IFeC) e degli operatori socio sanitari (OSS) nel percorso assistenziale [22 – 24]. I programmi di DPAss permettono non solo di superare le condizioni che limitano l’autogestione del trattamento dialitico domiciliare e l’assenza del caregiver, ma di potenziare altri aspetti dell’assistenza domiciliare [25, 26]. Il coinvolgimento di figure professionali sanitarie diversificate per ruoli e competenze (IFeC/OSS) favorisce interventi tempestivi e risolutivi al domicilio del paziente: il monitoraggio quotidiano da parte di personale sanitario addestrato e specializzato in stretto collegamento con il nefrologo del centro dialisi, consente ad esempio di ottimizzare in tempo reale il bilancio idrico e di identificare e trattare tempestivamente le complicanze infettive (peritoniti e infezioni dell’exit-site), con maggiori possibilità di prevenire il drop-out dalla metodica e ricoveri di questa categoria di pazienti. Anche per questi motivi la DPAss rappresenta una soluzione per migliorare la qualità di vita residua dei malati gravati da più morbidità, fragili, spesso anziani, o con ridotta aspettativa di vita.

Pazienti prevalenti

Nella popolazione dei pazienti dializzati cronici, ovvero i pazienti prevalenti, l’aggravamento delle condizioni generali, il declino funzionale e cognitivo, le complicanze del trattamento dialitico o delle comorbidità, eventuali nuove patologie invalidanti, le ricorrenti ospedalizzazioni e lo sviluppo di intolleranza dialitica possono anticipare l’imminenza della fine della vita e rendere il trattamento dialitico standard sproporzionato o inappropriato. In tali circostanze il nefrologo ha il dovere di informare e comunicare al paziente e al suo entourage le nuove e mutate condizioni cliniche e prognostiche. Il percorso di pianificazione condivisa della cura è infatti un processo dinamico che, come tale, prevede necessariamente di essere rivisitato con l’evolversi della traiettoria di malattia. Questo percorso può condurre alla scelta condivisa di rimodulare/ridurre la dose dialitica secondo un approccio palliativo, anticipando in alcuni casi la sospensione del trattamento sostitutivo.

La sospensione del trattamento dialitico rappresenta peraltro nel mondo una causa emergente di morte nei pazienti con ESKD essendo, dopo la malattia cardiovascolare e infezioni, la terza causa di decesso per questa popolazione, persino la prima causa in Olanda [27]. Nelle casistiche internazionali vengono identificati diversi fattori di rischio per la sospensione, spesso precoce, del trattamento dialitico, fra cui l’età avanzata e l’inizio urgente del trattamento dialitico. La sopravvivenza alla sospensione del trattamento dialitico è variabile, con un range fra 0 e 40 giorni e con una media di 7,4 giorni [27 – 29]. Riconoscere precocemente coloro che hanno più probabilità di sospendere la dialisi può migliorare la qualità del fine-vita. In queste circostanze è auspicabile considerare modalità e schemi dialitici alternativi come la DPAss, o l’emodialisi ospedaliera a dose ridotta (“dialisi palliativa” o “dialisi decrementale”).

È importante sottolineare che gli obiettivi della “dialisi palliativa” per pazienti incidenti e prevalenti includono il contenimento delle ospedalizzazioni. Infatti, la presa in carico condivisa con i servizi della rete territoriale di Cure Palliative, in un approccio di cure simultanee, favorisce la domiciliazione delle cure, riduce ricoveri e accessi al Pronto Soccorso e limita i decessi in ospedale favorendo in questa fase il setting più appropriato per il paziente.

 

Le controindicazioni alla dialisi 

È necessario premettere che alcune condizioni cliniche rappresentano controindicazioni assolute al trattamento dialitico (Tabella I) [1]. Tali condizioni esulano dagli ambiti in cui è indicata una dialisi palliativa.

Controindicazioni al trattamento dialitico

Rifiuto del paziente al trattamento o richiesta di sospensione se in corso (anche espresso in precedenza, se non più in grado di comunicare, purché documentato e noto a persona di riferimento)

Condizioni cliniche e/o emodinamiche non   reversibili che ostacolino la conduzione della seduta dialitica e il trattamento

Condizioni neurologiche non reversibili che compromettono il pensiero, la collaborazione, la consapevolezza di sé e dell’ambiente

Tabella I. Controindicazioni al trattamento dialitico.

Sulla base dei principi di etica medica e dell’imperativo di non nuocere, intraprendere o proseguire il trattamento dialitico in questi casi risulterebbe inappropriato, sproporzionato e pertanto arbitrario. In generale i principi etici di autodeterminazione, di beneficialità/non maleficialità e di giustizia devono guidare il percorso di cura bilanciando le conoscenze scientifiche con gli interessi e i desideri della persona e con le risorse della collettività. Il processo naturale del morire non deve essere prolungato con mezzi sproporzionati, incorrendo a forme di accanimento diagnostico o terapeutico.

In caso di rifiuto da parte del paziente di un trattamento già in atto o di iniziare un trattamento clinicamente appropriato, compito dell’équipe curante è innanzitutto realizzare un dialogo con il paziente e i famigliari da lui coinvolti, chiarire le conseguenze che questa scelta comporta e infine garantire la dovuta assistenza per il tempo futuro nell’ottica di un non abbandono terapeutico. Peraltro, il diritto della persona di rifiutare l’inizio o la prosecuzione del trattamento dialitico non equivale a riconoscere il diritto di pretenderlo quando esso non sia conforme agli standard imposti dalle attuali conoscenze scientifiche (legge 219/2017 “il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali”) [30].

Si sottolinea inoltre che dal punto di vista etico non vi è alcuna differenza tra non iniziare o sospendere un trattamento ove esso non sia più indicato e sproporzionato [31].

Lo scenario della scelta dialitica si può sintetizzare come in Tabella II.

Appropriatezza: indicazione del nefrologo

Scelta autonoma della persona

Trattamento

Trattamento dialitico indicato

Il paziente (o suo rappresentante) concorda

Dialisi

Il paziente (o suo rappresentante) rifiuta

Terapia conservativa, cure di supporto

Trattamento dialitico non indicato

Il paziente (o suo rappresentante) concorda

Terapia conservativa, cure di supporto

Il paziente (o suo rappresentante) non concorda e/o pretende il trattamento dialitico

Terapia conservativa, cure di supporto (non doverosità etica né giuridica a un trattamento non appropriato)

Trattamento dialitico sconsigliato (percorso di pianificazione condivisa)

Il paziente (o suo rappresentante) concorda

Terapia conservativa, cure di supporto

Il paziente (o suo rappresentante) non concorda

Dialisi palliativa, cure di supporto

Tabella II. La scelta dialitica.

 

Una proposta operativa

Poiché non vi sono protocolli univoci di comportamento sulla gestione del trattamento dialitico “palliativo” o “di supporto”, scopo di questo documento è anche di proporre ai nefrologi delle indicazioni operative sviluppate sulla base delle conoscenze scientifiche, delle esperienze e dei modelli esistenti.

In particolare, il documento si propone di definire i criteri per porre indicazione a tale percorso, sia nei pazienti incidenti che prevalenti in trattamento dialitico, di descrivere il processo decisionale condiviso, di proporre indicazioni pratiche per la gestione della dialisi palliativa e di supporto, di suggerire un modello di presa in carico condivisa con gli specialisti di cure palliative e di proporre indicatori di processo e di risultato.

L’identificazione del paziente

L’identificazione dei pazienti che possono giovarsi di un trattamento dialitico “palliativo” presuppone una valutazione multidimensionale, che orienti a porre tale indicazione e sia di supporto nel percorso di pianificazione condivisa della cura. Strumenti di valutazione multidimensionale sono stati sviluppati e validati in diversi ambiti, tra cui la geriatria e le cure palliative, e consentono di avere un quadro globale della fragilità e dei bisogni del paziente al fine di garantire tempestivamente le cure più appropriate, incluse le cure di supporto nel setting più adatto [32, 33].

Di seguito, sulla base delle evidenze scientifiche, si suggeriscono alcuni strumenti, score e indici clinici, proponibili nell’ottica di una valutazione multidimensionale del paziente con CKD avanzata e dializzato, al fine di identificare coloro a cui proporre un approccio palliativo del trattamento dialitico (Tabella III):

  • Risposta “no” alla “domanda sorprendente” (ovvero “saresti sorpreso se il paziente in questione venisse a mancare nei prossimi 12 mesi?”) [34, 35]
    • Indicatore di comorbidità (Charlson Comorbidity Index > 8) [36]
    • Rischio di mortalità a 3 mesi per i pazienti incidenti in dialisi: Score di Rein/Couchoud ≥ 12 [37]
  • Rischio di mortalità per i pazienti prevalenti in dialisi: Score di Cohen (percentuale di rischio di mortalità a 6 mesi in emodialisi cronica) [38]
  • Cachessia o malnutrizione evidenziata con indici nutrizionali (calo ponderale >10% negli ultimi 3-6 mesi, albuminemia <2,5g/dl, BMI ≤ 18,5, score Must [39])
  • Rapido declino funzionale (valutato con Karnofsky Performance Status [40] o Indice di Barthel Modificato [41] o strumenti di valutazione multidimensionale a cui si è consueti)
  • Rapido declino cognitivo valutato con Mini Mental State Examination (MMSE) [42] o MINI-Cog [43] o strumenti di valutazione multidimensionale a cui si è consueti
  • Patologia concomitante a prognosi infausta
  • Ospedalizzazioni frequenti (più di 2 ospedalizzazioni non pianificate negli ultimi 6 mesi)
  • Fragilità clinica di grado moderato-severo (Frailty Index di Rockwood [44], Multidimensional Prognostic Index [45], Fried’s Frailty Phenotype [46], ovvero strumenti di valutazione multidimensionale della fragilità a cui si è più consueti)

Dimensione

Strumento di valutazione

Operatore

Prognosi

-Risposta NO alla domanda sorprendente
-Score di Cohen (pazienti prevalenti in dialisi),

-Score di REIN (pazienti incidenti in dialisi)

Medico e Infermiere dell’equipe nefrologica

Comorbidità

Charlson Comorbidity Index

Medico

Stato nutrizionale

Score di Must,

BMI,

albuminemia,

calo peso

Medico e/o Dietista

Stato funzionale

Karnofsky Performance Score (KPS), Indice di Barthel

Medico e/o Infermiere

Stato cognitivo

Mini Mental State Examination (MMSE),

MINI-Cog

Medico

Fragilità clinica

Frailty Index di Rockwood,

Fried’s Frailty Phenotype,

Multidimensional Prognostic Index

Medico e/o Infermiere

Tabella III. Sintesi di possibili strumenti per la valutazione multidimensionale.

Nel paziente prevalente in emodialisi è necessario considerare inoltre gli eventi che di per sé sono considerati fattori di rischio prognostico (“eventi clinici sentinella”):

    • intolleranza dialitica definita come necessità di interrompere prematuramente le sedute dialitiche con cadenza superiore a una volta alla settimana negli ultimi 3 mesi
    • progressivo peggioramento del tempo di recupero post dialitico con crescente impatto sulla qualità della vita
    • esaurimento accessi vascolare senza la possibilità di accedere al trapianto renale o alla dialisi peritoneale
    • complicanze infettive/settiche/vascolari severe o ricorrenti
    • inizio del trattamento dialitico “in acuto” (entro 48h dall’accesso in ospedale in urgenza)

Vi sono condizioni particolari che possono rappresentare una controindicazione relativa e perciò limitare un approccio palliativo al trattamento dialitico:

      • Oliguria e anuria: una diuresi indicativamente inferiore a 400 cc/die potrebbe rappresentare un limite a intraprendere uno schema di dialisi palliativa, per il rischio variabile di incorrere in quadri di sovraccarico sintomatico. Considerando l’estrema variabilità individuale, sta in ogni caso al clinico valutare l’appropriatezza di una dialisi palliativa, in base al paziente, alla sua superficie corporea, alla sua risposta alla terapia diuretica orale e alla sua compliance alla restrizione dei liquidi. In dialisi peritoneale in molti casi l’utilizzo di soluzioni ipertoniche o a base di icodestrina può garantire adeguati bilanci anche in pazienti anurici.
      • CKD terminale in condizioni di urgenza (sovraccarico/edema polmonare acuto, disionia minacciosa, sepsi) e in pazienti late referral:  nel caso di pazienti “late referral”, così come di pazienti che giungono all’osservazione con indicazione alla dialisi in condizioni d’urgenza, l’inquadramento prognostico può essere più difficile e incerto, e il percorso di pianificazione condivisa della cura può essere ostacolato per motivi di tempo, per le condizioni cliniche e cognitive non sempre reversibili, per l’incompleta conoscenza del paziente e della sua famiglia, del quadro clinico e della traiettoria di malattia. In queste condizioni cliniche, ai pazienti gravati da possibili fattori prognostici sfavorevoli, può essere opportuno intraprendere un “trattamento a tempo definito” (time-limited-trial) secondo le modalità prescrittive tradizionali, applicabile sia nell’insufficienza renale acuta, che nelle dialisi urgenti e nei pazienti late referral. Un time limited trial consente al paziente e ai suoi famigliari di sperimentare gli effetti del trattamento dialitico, e contemporaneamente al nefrologo di valutare tollerabilità e risposta clinica, oltre che di inquadrare meglio la prognosi entro un limite temporale ragionevole e concordato [1].
      • Paziente affetto da altra malattia in fase terminale: nei pazienti con ESKD affetti da altra malattia terminale con prognosi a breve termine, è necessario valutare attentamente, insieme al paziente, ai famigliari e agli specialisti di riferimento per le patologie a maggiore impatto prognostico, il bilancio rischio/beneficio rispetto a un prevedibile allungamento della sopravvivenza con il trattamento dialitico. Nella scelta della prescrizione dialitica si tratta di valutare sia l’impatto dei sintomi (ad esempio nei malati oncologici), sia l’impatto emodinamico del trattamento dialitico (ad esempio cardiopatia terminale), sia gli obiettivi personali a breve termine del malato.

Percorso di pianificazione condivisa (shared-decision-making)

In Italia la pianificazione condivisa delle cure è definita nell’art 5 della Legge 219 del 2017: la legge che sancisce il diritto della persona malata di partecipare attivamente al percorso di cura. La legge affronta tre importanti aspetti del processo di cura: il consenso informato (art. 1), le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) (art. 4) e la pianificazione condivisa della cura (art. 5) [30].  Tramite le DAT la legge apre la possibilità di esprimere le proprie volontà in merito a quali trattamenti sanitari, accertamenti diagnostici e scelte terapeutiche ricevere in caso di eventuale incapacità di decidere di sé. Ogni persona può, a tale proposito, indicare un fiduciario che lo rappresenti. Si tratta di una scelta che può essere effettuata redigendo un documento, comunemente definito “testamento biologico o biotestamento”, che deve essere depositato presso il Registro dedicato del proprio Comune di residenza. Nelle DAT si può disporre ad esempio il diniego a manovre rianimatorie o il rifiuto ad intraprendere e/o continuare l’impiego di supporti vitali. Le DAT possono essere espressione di iniziativa autonoma e unilaterale della persona, anche se, per la redazione delle DAT, è auspicabile un dialogo aperto, fiducioso e reciproco con il proprio medico di riferimento.

La pianificazione condivisa delle cure (Art. 5), a differenza delle DAT, nasce necessariamente all’interno di una relazione e confronto paziente-medico, in presenza di una patologia cronica, invalidante ed evolutiva. Ciascuno dei due protagonisti esprime le proprie prerogative per arrivare insieme alla scelta finale: il medico offre al paziente la propria competenza, propone il trattamento che ritiene più appropriato, assicurandosi che la situazione e le opzioni terapeutiche siano state ben comprese; il paziente esprime quindi la volontà libera e consapevole circa i provvedimenti sanitari proposti, connessi alla malattia di cui è portatore e alla sua prevedibile evoluzione. La scelta che ne scaturisce viene riportata dal medico in cartella clinica. Anche se la volontà del paziente si discosta dalle proposte del medico, è responsabilità del medico di non abbandonare il paziente.

Figura 1. Il percorso di pianificazione condivisa della cura.
Figura 1. Il percorso di pianificazione condivisa della cura.

Questo percorso è particolarmente importante sia prima dell’inizio della dialisi, dove le persone devono comprendere i benefici, oneri e alternative alla dialisi, sia in corso di terapia dialitica. Tali colloqui dovrebbero svolgersi in un contesto appropriato e con un team competente [3]. Nei nostri reparti può svolgersi negli abituali ambiti ambulatoriali (Ma.Re.A., emodialisi, dialisi peritoneale e trapianto), oppure in occasione di un ricovero. Durante un ricovero si può realizzare una maggiore consapevolezza del paziente e della sua famiglia circa la traiettoria di malattia, inoltre il setting di ricovero può facilitare gli incontri collegiali con paziente, famigliari, l’équipe di cure palliative e gli specialisti di riferimento. In Italia, come in molte culture, la famiglia ha un ruolo importante nel processo decisionale. Inoltre, poiché lo stato di salute, le preferenze e le opzioni terapeutiche dei pazienti possono cambiare nel tempo, sono necessarie periodiche rivalutazioni soprattutto in corso di dialisi cronica, che garantiscano un aggiornato inquadramento prognostico, cosicché gli obiettivi della cura rimangano allineati con i valori e le preferenze dei pazienti (Figura 1). Questi incontri fra team, paziente e famigliari dovrebbero avere luogo fin dall’inizio della traiettoria della malattia e dovrebbero includere indicazioni sulle condizioni di salute in cui i pazienti vorrebbero sospendere o non intraprendere la dialisi [2]. Tale percorso e le decisioni condivise devono essere puntualmente esplicitati nella cartella clinica del paziente.

Nel caso di pazienti incompetenti non in grado di prendere una decisione in autonomia per i quali l’indicazione alla dialisi non è così evidente né per il suo inizio, né per il suo non inizio o sospensione, il nefrologo deve attenersi alle DAT eventualmente espresse dal paziente o alle indicazioni emerse dalla Pianificazione Condivisa di Trattamento qualora sia stata redatta, coinvolgendo le figure titolate a entrare nel processo decisionale (tutore legale, fiduciario, amministratore di sostegno, genitore in caso di minori). In assenza di tali disposizioni il percorso decisionale va condiviso con i famigliari o le altre persone vicine al malato, in quanto testimoni privilegiati delle preferenze e dei bisogni del paziente, attraverso un dialogo sincero ed empatico esplicitando evidenze, dubbi e incertezze dalle due parti. Qualora emergano forti tensioni e conflittualità, se il medico avesse dei dubbi clinici fondati sull’indicazione clinica, può essere proposto un trattamento “a tempo definito” (time limited trial) della dialisi al fine di valutare meglio la prognosi e l’andamento clinico.

Modalità operative nella prescrizione dialitica

Riportiamo nella grafica (Tabelle IV e V) i principali suggerimenti operativi per la dialisi palliativa, sia per la metodica emodialitica sia per il trattamento di dialisi peritoneale. Ad accomunare la gestione delle due metodiche è il fine ultimo del controllo dei sintomi nel paziente uremico terminale, provocando il minore “discomfort” possibile correlato al trattamento, preservando il più possibile la qualità della vita e adeguando il trattamento alla tolleranza dialitica del paziente. In questo approccio, viene data minor importanza agli standard di depurazione e al raggiungimento dell’effettivo “peso secco” [16, 47].

In particolare, nella prescrizione di una emodialisi di tipo palliativo si tratta di ridurre preferibilmente il numero di sedute settimanali, oppure le ore di trattamento, e nel contempo di operare le scelte prescrittive, anche in relazione all’accesso vascolare o al trattamento delle complicanze, che consentano di ridurre l’impatto dei trattamenti sul benessere globale del paziente. Nella prescrizione dialitica peritoneale di tipo palliativo, sia per il paziente prevalente che incidente, si tratta di ridurre il numero di scambi, i volumi di carico e le giornate di trattamento, al fine di ridurre l’impatto del trattamento sia per il paziente, che per i suoi caregiver, a fronte della mancanza di un vantaggio in termini di salute e sopravvivenza. Tale rimodulazione/riduzione può anticipare la possibilità di sospendere il trattamento dialitico quando questo diventasse non appropriato o sproporzionato.

Emodialisi

Accesso Vascolare

Nel paziente incidente è indicato l’uso del CVC temporaneo o tunnellizzato.

Nel paziente prevalente, occorre accettare eventuale ricircolo o utilizzo di FAV in “monoago”; ricorrere a CVC temporaneo o tunnellizzato in caso di fallimento della FAV nativa o protesica.

Efficienza dialitica

In merito agli indici di depurazione, non vi sono valori target poiché l’adeguatezza del trattamento è valutata sulla tolleranza del paziente e sul controllo dei sintomi.

Ritmo e durata

Nel paziente incidente considerare ritmo mono- o bisettimanale per una durata da definire in base alla tolleranza e/o ai bisogni ai fini del controllo dei sintomi e del bilancio dei liquidi (dispnea, sovraccarico, prurito, astenia, nausea/vomito, recupero post-dialitico). Valutare sistematicamente i sintomi anche con ausilio di strumenti idonei (ESAS [48], iPOS renale [49])

Nel paziente prevalente ridurre il ritmo da tri- a bisettimanale, poi a monosettimanale se il bilancio non impatta sui sintomi. La riduzione di durata va decisa in base alla tolleranza. È indispensabile prevedere la possibilità di sedute dialitiche supplementari.

Metodica

La scelta di metodica non deve avere come obiettivo l’aumento di sopravvivenza o efficienza rispetto ai target standard. Si suggerisce di selezionare la metodica che garantisca il miglior controllo dei sintomi, la migliore tolleranza emodinamica, e il miglior tempo di recupero post-dialitico.

Ultrafiltrazione

Si mira a risolvere i sintomi legati al sovraccarico idrosalino, preservando la funzione renale residua ed evitando le ipotensioni intra-dialitiche. Si suggerisce di tollerare quella quota di ritenzione idrososalina che non impatti clinicamente sul paziente, eventualmente prevedendo una periodica seduta dialitica supplementare. Regolare il flusso ematico (Qb) in base alla tolleranza dialitica.

Tabella IV. Dialisi palliativa: modalità operative nella prescrizione emodialitica. CVC: catetere venoso centrale; FAV: fistola artero-venosa; ESAS: Edmonton Symptom Assessment System; iPOS renal: integrated palliative outcome scale-renal.

Dialisi Peritoneale

Posizionamento del catetere peritoneale

In anestesia locale, considerando di non correggere eventuali ernie subcliniche al fine di evitare intervento chirurgico maggiore; in questi casi orientarsi a NPD o mono-scambio notturno.

Efficienza dialitica

Non vi sono target di depurazione. Il target del trattamento è mirato al controllo dei sintomi minimizzando l’impatto della cura.

Metodica

Per la scelta della metodica CAPD vs. APD decidere in base al grado di autonomia e all’assistenza domiciliare disponibile (caregiver, dialisi peritoneale assistita, ecc). La scelta della metodica va condivisa con paziente e caregiver in base alle preferenze e attitudini. Non è vincolante il tipo di permeabilità della membrana peritoneale.

Schema dialitico

Va definito o rimodulato in base alla tolleranza e/o ai bisogni del controllo dei sintomi oltre che al grado di autonomia e all’assistenza domiciliare disponibile. Esempi di esperienze di dialisi palliativa internazionali suggeriscono schemi di NPD 3-5 gg alla settimana o schemi di CAPD con 1 o 2 scambi al dì per 5-7 giorni alla settimana.

Soluzioni e volumi

La scelta delle soluzioni dipende dalle necessità ultrafiltrative.  Si possono considerare anche carichi consecutivi di 12 h con soluzione di icodestrina. I volumi di carico possono essere ridotti qualora costituissero un discomfort per il paziente o se fosse necessario prevenire complicanze legate alla presenza di ernie chirurgiche o quadri predisponenti al “leakage”.

Trattamento delle complicanze

Al fine di evitare l’ospedalizzazione si consideri il trattamento domiciliare degli eventi infettivi, tramite la medicazione con antibiotici di una sacca al dì presso il centro dialisi, o l’addestramento del caregiver alla medicazione delle sacche, o tramite l’attivazione di assistenza territoriale ove disponibile (IFeC, Assistenza Domiciliare Integrata).   

Tabella V. Dialisi palliativa: modalità operative della prescrizione dialitica peritoneale; CAPD: Continuous Ambulatory Peritoneal Dialysis; NPD: Nocturnal Peritoneal Dialysis; APD: Automated Peritoneal Dialysis; IFeC: infermiere di famiglia e di comunità.

Infine, vogliamo suggerire che può essere considerato il passaggio di metodica dalla emodialisi alla dialisi peritoneale per i pazienti emodializzati prevalenti i quali, non tollerando il trattamento dialitico extracorporeo per un cambiamento di traiettoria della malattia a prognosi sfavorevole, potrebbero passare a una dialisi peritoneale palliativa, con una migliore tollerabilità emodinamica, risparmio nel trasporto da e verso il centro dialisi, minore affaticamento legato alla metodica. Nella pratica clinica, in assenza di funzione renale residua, l’utilizzo di soluzioni con icodestrina può garantire l’euvolemia. La letteratura non riporta casistiche di questo tipo, ma solo l’evidenza che uno shift dall’emodialisi cronica alla dialisi peritoneale comporta una maggiore mortalità e rischio di fallimento della metodica [50, 51].

Terapia farmacologica e terapie adiuvanti

In un approccio palliativo alla cura del paziente affetto da CKD avanzata o in dialisi, la terapia farmacologica è mirata al controllo dell’anemia, del quadro elettrolitico e dell’acidosi, nella misura in cui condizionano sintomi. Sono prioritari il controllo del dolore e di ogni altro sintomo che comporti per il paziente un disagio fisico ed emotivo o spirituale.

Si incoraggia la deprescrizione dei farmaci non strettamente necessari al benessere a breve termine del paziente. A questo proposito evidenze scientifiche recenti dimostrano che un elevato carico di farmaci espone i pazienti più anziani, policomorbidi e fragili affetti da CKD a un elevato rischio di effetti collaterali, tossicità e pericolose interazioni fra farmaci, oltre che al rischio di una non adeguata aderenza alle plurime terapie [52].

Inoltre, occorre considerare la possibile reversibilità di alcuni fattori che contribuiscono alla fragilità globale, mettendo in atto provvedimenti e terapie adiuvanti a tale scopo. Le terapie di sostegno fisico, quali fisiochinesiterapia, possono rallentare il declino funzionale contribuendo al benessere anche psicologico del paziente. Il sollievo del paziente e dei suoi famigliari nel percorso di supporto si può giovare anche dell’aiuto psicologico ed eventuale supporto spirituale.

I consigli in merito alla terapia farmacologica sono sintetizzanti nella Figura 2.

Raccomandazioni per la gestione della terapia farmacologica.
Figura 2. Raccomandazioni per la gestione della terapia farmacologica.

In merito alla prescrizione dietologica, è importante prevenire la malnutrizione e il sovraccarico idrosalino, attuando strategie per l’iperkaliemia, inclusa la prescrizione di farmaci per il controllo del potassio, ed embricando alla dieta integratori per os o contenuto proteico controllato. Nelle condizioni di severa malnutrizione si raccomanda adeguato supporto, anche parenterale.

Attivazione delle cure palliative/di supporto e cure simultanee

Il coinvolgimento degli specialisti in CP nel percorso di cura con dialisi palliativa è auspicabile sin dalle fasi iniziali, poiché integra le competenze sulle cure palliative alle competenze nefrologiche, assicura un’assistenza completa ai bisogni del paziente, garantisce continuità assistenziale, supporta nelle comunicazioni difficili e favorisce la domiciliazione delle cure. Inoltre, la condivisione della assistenza facilita il “passaggio di delega alla cura” operato da paziente e dai suoi famigliari dall’équipe nefrologica e dialitica all’équipe di cure palliative, favorendo la condivisione delle successive scelte del percorso di cura.

Pur con la estrema variabilità organizzativa e di risorse della rete di cure palliative nelle diverse realtà nefrologiche nazionali, si sintetizza nel presente documento il processo di attivazione dei servizi di cure palliative e si propone la conduzione operativa del percorso condiviso di cure simultanee.

1. Segnalazione al servizio di cure palliative (CP) secondo le modalità locali si dà il via al primo incontro collegiale tra l’équipe nefrologica, che propone il paziente, e gli specialisti di CP per una presa in carico condivisa. Durante l’incontro, si condivide l’inquadramento clinico, la valutazione multidimensionale e prognostica del malato, gli obiettivi di salute nella scelta del percorso di dialisi palliativa e le modalità operative del trattamento palliativo. In assenza di una possibilità consulenziale l’équipe nefrologica può segnalare il paziente alla rete di cure palliative del territorio, condividendo i contenuti della scelta terapeutica.

2. Valutazione: l’équipe di CP verifica i presupposti e l’appropriatezza della proposta di presa in carico in base ai criteri istituzionali locali. Dopo l’incontro con il paziente e i suoi famigliari e la accettazione del percorso di cura integrato, viene identificato il setting più appropriato: ambulatoriale, Day Hospice, CP domiciliari, Hospice. Inoltre, in base ai bisogni del paziente stabilisce il grado di intensità dell’assistenza. Nel dettaglio:

    • Ambulatoriale/Day Hospice: quando disponibile presso la struttura dove si trova l’UO di Nefrologia e Dialisi presso la quale il paziente afferisce, la presa in carico condivisa tramite un servizio ambulatoriale/consulenziale di CP offre il vantaggio di poter mettere in atto precocemente il percorso di cure simultanee, quando i bisogni del paziente ancora consentono una bassa intensità assistenziale. Dal punto di vista logistico e pratico il malato può essere periodicamente visitato dall’équipe di CP, ad esempio in occasione di un accesso per il trattamento dialitico, o di un controllo ambulatoriale.
    • Cure domiciliari: è il setting privilegiato quando il paziente necessita di più alta intensità assistenziale. Presuppone la presenza di un adeguato caregiver a cui fare riferimento anche in caso di peggioramento delle condizioni del paziente.
    • Hospice: è necessario segnalare che in Italia, come nel resto del mondo, l’accesso ai servizi di Hospice è per lo più precluso ai pazienti in trattamento dialitico se quest’ultimo non viene sospeso. Il requisito all’accesso all’hospice è infatti la sospensione delle cure atte al prolungamento della vita. Poiché per la maggior parte dei pazienti in trattamento dialitico cronico la sospensione significa una sopravvivenza di pochi giorni, difficilmente scelgono di essere assistiti in hospice. Questo limite favorisce di fatto l’ospedalizzazione di molti pazienti dializzati negli ultimi giorni/settimane di vita, nonché i decessi in ospedale in quei casi in cui le cure palliative in un setting domiciliare non siano proponibili. Vi è ampio dibattito scientifico su questo tema, e anche istituzionale, sia in Italia che negli altri paesi. In alcuni paesi sono stati sperimentati programmi di dialisi palliativa concomitanti al servizio di hospice, aprendo prospettive future di sviluppo [53]. Per questi motivi ad ora l’hospice non rappresenta una opzione standard per i pazienti sottoposti a dialisi con approccio palliativo, ma è il setting proponibile negli ultimi giorni di vita, in fase di sospensione del trattamento dialitico. In alcuni casi, in base alle risorse della rete di CP, l’hospice può essere considerato come il setting idoneo a un “ricovero di sollievo” per pazienti già in cure domiciliari, in particolari momenti di temporanea non sostenibilità della rete famigliare e caregiver.

3. Presa in carico condivisa (cure simultanee): è opportuno individuare un referente Nefrologo e un referente Palliativista, ai fini della continuità dell’assistenza, eventualmente coinvolgendo il medico di medicina generale (MMG) che ha in cura il paziente. Durante la presa in carico per l’assistenza di cure palliative nefrologi e palliativisti, coadiuvati dal MMG e dalle figure professionali delle équipe, si coordinano nella gestione del percorso di cura del paziente e nella comunicazione con i famigliari/care-giver.

In questa fase l’équipe nefrologica ha il compito di:

    • rivalutare periodicamente l’appropriatezza e proporzionalità della prescrizione dialitica, sulla base del quadro clinico e degli esami di controllo
    • monitorare i sintomi
    • esplicitare i rinnovati bisogni e le aspettative del paziente
    • condividere con l’équipe di cure palliative la gestione clinica, le scelte terapeutiche, gli accertamenti, la rimodulazione del trattamento dialitico

L’équipe di cure palliative, allo stesso tempo:

    • contribuisce al monitoraggio dei sintomi e al loro trattamento
    • coadiuva il nefrologo nelle scelte terapeutiche e nella rimodulazione del trattamento dialitico
    • contribuisce nel prevenire le ospedalizzazioni, e concorda eventuali ricoveri di sollievo
    • supporta la famiglia/caregiver nell’educazione all’assistenza
    • modifica il tipo di setting o l’intensità dell’assistenza in base ai bisogni
    • verifica l’effettivo raggiungimento degli obiettivi di cura e di qualità di vita
    • supporta il nefrologo nelle comunicazioni difficili e nella gestione delle dinamiche famigliari/sociali
    • svolge un ruolo chiave nella pianificazione della sospensione del trattamento dialitico, essendo in una relazione privilegiata con il paziente e il suo entourage

Il percorso di cure simultanee prevede possibilità di trasmissione dei dati clinici e delle prescrizioni e di condivisione delle scelte cliniche e assistenziali. Fra queste rientra la possibilità di cambio di setting in base alle esigenze del paziente. Nel percorso di cure simultanee un eventuale ricovero può essere deciso e concordato fra specialisti, ad esempio per una complicanza che si ritenga reversibile.

La sospensione del trattamento dialitico rientra fra le possibili scelte nel corso del percorso condiviso di cura. Quando il nefrologo o il palliativista ravveda l’indicazione a sospendere il trattamento dialitico, per il peggioramento ulteriore e irreversibile delle condizioni cliniche del paziente che non permette la conduzione della terapia sostitutiva, dopo adeguata comunicazione con il paziente e i suoi famigliari, viene iniziato il percorso assistenziale alla fine della vita.

4. Dimissione: il percorso di assistenza di cure palliative termina con la dimissione del paziente, che avviene con il decesso del malato o il trasferimento in altra sede, quando non si verifichi per richiesta stessa del paziente o dei famigliari di interrompere il percorso di cura, o per un miglioramento stabile delle condizioni cliniche tale da annullare i presupposti al percorso di cure di supporto.

Gli step del percorso integrato di attivazione delle cure di supporto sono riassunti in Tabella VI.

Descrizione

Strumenti

Operatori

Dove

Identificazione e Segnalazione

Individuare i pazienti che necessitano di cure di supporto

Segnalazione al servizio di CP

-Domanda sorprendente

-VMD secondo i criteri di appropriatezza di accesso al servizio di Cure Palliative locale

– Discussione collegiale in team multidisciplinare

Équipe di Nefrologia e di Cure Palliative

Degenza di nefrologia, sala dialisi, ambulatori

Valutazione e proposta

Scelta del setting di cura

SDM tra i membri del team multidisciplinare e con paziente ei famigliari/ care-giver

Équipe di Nefrologia e di Cure Palliative eventuali infermieri e assistenti sociali

Degenza di nefrologia, ambulatorio nefrologico o ambulatorio di CP

Presa in carico nel percorso integrato (cure simultanee)

Scelta dell’intensità di cura e definizione del Piano di Assistenza Integrato (PAI)

-Comunicazione e accettazione del paziente e famigliari/care-giver.

-Valutazione dei bisogni assistenziali,

-Visita clinica,

-VMD,

-Valutazione dei dati laboratoristici e strumentali.

Équipe di Cure Palliative, paziente, famigliari

Ambulatorio di cure palliative, al domicilio (cure domiciliari), in Hospice o Day Hospice

Percorso di cura

-Scelte di terapia medica

-Scelte di prescrizione dialitica o sospensione della dialisi

-Visita clinica,

VMD.

-Valutazione della tolleranza dialitica e complicanze,

-Valutazione sistematica dei sintomi,

-SDM tra i membri del team multidisciplinare e con paziente e   famigliari o care-giver

Équipe di Nefrologia e di Cure Palliative

-Nefrologi: in sala dialisi o ambulatorio DP o in consulenza a distanza

-Palliativisti: nel setting prescelto

Dimissione

-Interruzione del servizio di Cure Palliative (per trasferimento, per scelta del paziente, oppure per stabile miglioramento clinico)

-Decesso

-Discussione multidisciplinare tra gli specialisti in carico

– Programmazione di follow-up nefrologico se dimesso per stabile miglioramento

– Assistenza al lutto

Équipe di Cure Palliative

-Nefrologi

Équipe di Cure Palliative

-Al domicilio (cure domiciliari), in Hospice o Day Hospice

-Ambulatorio nefrologico

Tabella VI. Il percorso integrato di cure palliative e di supporto. VMD: Valutazione multidimensionale; CP: Cure Palliative; SDM: Shared-decision-making.

Proponiamo di seguito alcuni indicatori (Tabella VII) al fine di monitorare obiettivi e risultati del percorso di cure simultanee in dialisi palliativa. È indispensabile sottolineare che il miglioramento della qualità di vita e la riduzione della sofferenza, i principali obiettivi di un approccio palliativo alla dialisi, sono parametri che nella pratica clinica risultano difficilmente misurabili in maniera univoca e riproducibile, data la loro natura soggettiva e variabile. Indicatori di processo quali la durata del trattamento o della presa in carico in cure simultanee integrate e il setting scelto, consentono di valutare prospetticamente le risorse implicate. La sopravvivenza, la sospensione programmata del trattamento dialitico e le ospedalizzazioni rappresentano i principali indicatori di risultato.

Tempo di permanenza in dialisi palliativa (tipo di riduzione/rimodulazione: t°, ritmo per ED; n° di scambi, n° di soste, volumi per DP)

Sospensione della dialisi

Sopravvivenza

Ospedalizzazioni (in elezione, concordate con team di cure palliative, oppure urgenti e non concordate)

Setting di cure palliative e durata della presa in carico

Controllo dei sintomi (ESAS, iPOS renal) e qualità di vita (KDQOL 36)

Tabella VII. Strumenti di monitoraggio nel percorso di cure simultanee in dialisi palliativa.

 

Conclusioni

In linea con le raccomandazioni internazionali riguardo all’importanza di muovere a una dialisi “centrata sul paziente” e non sulla malattia, un approccio palliativo al trattamento dialitico può rappresentare un’opportunità di cura per alcune categorie di pazienti. In casi selezionati di malati con CKD avanzata e ESKD, gravati da ridotta aspettativa di vita, la dialisi palliativa può rappresentare un’opzione di cura appropriata e proporzionata, alternativa alla terapia conservativa. Per alcuni pazienti in trattamento dialitico cronico la dialisi palliativa può rappresentare il trattamento di scelta nella fase finale della vita.

Nell’ottica di muovere dalla teoria alla pratica si tratta di standardizzare quelle scelte cliniche e terapeutiche che già spesso vengono condotte nei nostri ambulatori dialitici.  Un percorso che, tramite la valutazione del paziente in tutte le sue dimensioni, permetta di oggettivare l’inquadramento prognostico e sviluppi la comunicazione per una pianificazione condivisa della cura, può portare a scelte di prescrizione dialitica che conciliano gli obiettivi personali e di salute del paziente con i più realistici e proporzionati obiettivi di cura. La collaborazione con gli specialisti di cure palliative può supportare il nefrologo e i suoi pazienti più critici, insieme ai loro famigliari, in un percorso interdisciplinare integrato di “cure simultanee”.

Se la tecnologia, che in Medicina ha fatto passi enormi e continua a farli, deve rimanere al servizio dell’uomo, come dev’essere anche nel caso della dialisi, il suo utilizzo deve essere sempre legato alle scelte e ai bisogni del paziente, senza alcuna applicazione indiscriminata.

“Il medico deve abbinare, in quanto medico, il fare tecnico (“terapia tecnica”) con l’esperienza clinica (“cura biologica”) e, una volta che la medicina scientifica si scontra con il suo limite, deve educarsi alla ricerca del senso e dell’ethos (“filosofia”). Nullus medicus nisi philosophus” (Karl Jaspers, Il Medico nell’età della Tecnica).

 

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