Supplemento S81 - In depth review

Trattamenti sostitutivi renali nei pazienti con AKI e cancro

Abstract

L’insufficienza renale acuta (AKI) è una complicanza ad alta prevalenza nei pazienti con cancro. Il rischio di AKI dopo la diagnosi di cancro è del 18% nel primo anno, del 27% al quinto anno e il 40% dei pazienti in condizioni critiche con cancro necessita di terapia sostitutiva renale.

Le cause di AKI possono essere pre-renali per problemi emodinamici, correlate alla neoplasia, a complicanze metaboliche, e al trattamento farmacologico o chirurgico.

Bisogna preventivamente proteggere la funzione renale mediante idratazione, utilizzo di farmaci non nefrotossici, correzione dell’anemia, prevenzione dell’AKI indotta da mezzo di contrasto (CI-AKI), aggiustamento della terapia oncologica nei pazienti con CKD. È indispensabile controllare la funzione renale basale, l’andamento della creatinina, gli elettroliti, l’esame urine e la proteinuria, effettuare diagnostica per immagini, eventualmente la biopsia renale.

La valutazione dei pazienti deve essere multidisciplinare e tempestiva prevedendo anche l’avvio del trattamento sostitutivo renale (RRT). Esistono differenti modalità di trattamento sostitutivo in funzione del quadro clinico del paziente con AKI e cancro: emodialisi intermittente (IHD), trattamento sostitutivo prolungato intermittente (PIRRT), trattamento sostitutivo continuo (CRRT). Risulta fondamentale il concetto di dose somministrata, rispetto a quella prescritta, così come l’anticoagulazione dei circuiti extracorporei che deve essere regionale con citrato (RCA) come prima scelta nella gestione delle CRRT, per ottenere un’ottimale anticoagulazione del circuito, con riduzione degli episodi di impaccamento e del downtime, mantenendo inalterato lo stato coagulativo del paziente.

L’approccio multidisciplinare onco-nefrologico è fondamentale per ridurre il tasso di mortalità, che è ancora oggi elevato in questa categoria di pazienti.

 

Parole chiave: AKI, cancro, RRT, citrato

L’insufficienza renale acuta (AKI) è una complicanza ad alta prevalenza nei pazienti con cancro. Mentre i fattori di rischio per lo sviluppo di AKI sono simili a quelli della popolazione generale, i pazienti con cancro possono sviluppare AKI a causa del cancro stesso o del suo trattamento [1]. Il rischio di AKI dopo la diagnosi di cancro è del 18% nel primo anno, del 27% al quinto anno e il 40% dei pazienti in condizioni critiche con cancro necessita di terapia sostitutiva renale.

Le cause di AKI nel paziente con neoplasia possono essere:

  • pre-renali per problemi legati all’emodinamica del paziente
  • correlate alla neoplasia come la microangiopatia trombotica, all’infiltrazione diretta dei glomeruli e/o dell’interstizio, alla presenza di paraproteine, alla nefropatia ostruttiva intratubulare o extrarenale
  • correlate a complicanze metaboliche come l’ipercalcemia e la sindrome da lisi tumorale
  • correlate al trattamento e osservate post chemioterapia, immunoterapia, trapianto di cellule staminali, nefrectomia

La recente stadiazione dell’AKI [2] prevede la suddivisione in tre stadi definiti in base alla creatinina sierica e all’output urinario e nello specifico:

  • Stadio 1 creatinina incrementata da 1.5 a 1.9 volte rispetto al basale entro una settimana o incremento di 0.3 mg/dl entro 48 ore, e output < 0.5 ml/kg/hr x 6-12 ore
  • Stadio 2 creatinina incrementata da 2.0 a 2.9 volte rispetto al basale, e output < 0.5 ml/kg/hr x >12 ore
  • Stadio 3 creatinina incrementata > 3.0 volte rispetto al basale o creatinina > 4 mg/dl, o avvio della dialisi, e output < 0.3 ml/kg/hr > 24 ore, o anuria > 12 ore

Le cause pre-renali di AKI nei pazienti con cancro sono particolarmente comuni (60-80%) e possono essere ematologiche e legate a tumori solidi o legate al trapianto di cellule staminali. Tutte queste situazioni sono legate a scarsa assunzione orale proteico-calorica a causa di anoressia, emesi e diarrea indotte dalla chemioterapia, sepsi con ipoperfusione renale, coesistente cirrosi o scompenso cardiaco, ipercalcemia, utilizzo di farmaci quali gli ACE-inibitori, i sartani, i FANS e i diuretici e nel caso di trapianto di cellule staminali anche di sindrome da rilascio citochinico e precoce patologia trombotica [3].

Generalmente, l’AKI nei pazienti oncologici può essere correlata al paziente, al tumore o al trattamento [4]. Il più delle volte, l’AKI nei pazienti oncologici è multifattoriale.

Cause correlate al paziente

Cause correlate al paziente comprendono l’età, la sepsi, l’ipovolemia (vomito, diarrea), l’uso di sostanze nefrotossiche, farmaci e condizioni di comorbidità come insufficienza renale cronica (CKD) preesistente, il diabete mellito, l’insufficienza cardiaca e la cirrosi [5].

Cause correlate al cancro

Cause correlate al cancro includono la compressione/ostruzione urinaria, l’interessamento renale tumorale diretto, la cast-nephropathy associata a mieloma multiplo (MM), l’ipercalcemia indotta da cancro, la microangiopatia trombotica correlata al cancro (TMA) e a glomerulopatie paraneoplastiche. Malattie glomerulari associate a tumori maligni sono rare, ed eterogenee (nefropatia membranosa, glomerulonefrite a lesioni minime, vasculite associata ad anticorpi anti citoplasma dei neutrofili, porpora di Schönlein-Henoch) [6]. La compressione e l’ostruzione delle vie urinarie possono essere causate dal tumore primitivo o dalle metastasi. Nella maggior parte dei casi, il declino della funzione renale in questi pazienti è graduale [7]. L’infiltrazione tumorale diretta del rene è frequente nei pazienti con linfoma e leucemia ed è più comunemente riscontrata in pazienti con malattia aggressiva e disseminata [8]. Fino al 90% dei pazienti con linfoma mostra evidenza di coinvolgimento renale negli studi autoptici, con conseguente aumento di dimensioni renali all’imaging radiografico e una infiltrazione interstiziale bilaterale da cellule di linfoma [9]. Nei pazienti affetti da leucemia, il 60-90% hanno un coinvolgimento renale negli studi autoptici [10-12]. L’AKI conseguente all’infiltrazione tumorale è il risultato della compressione tubulare e dell’interruzione del microcircolo renale [10-12]. La cast nephropathy è un’importante manifestazione di mieloma multiplo (MM) e la causa più comune di AKI in questi pazienti. Le catene leggere libere (FLC) vengono filtrate nel glomerulo ed entrano nell’urina ad alte concentrazioni, travolgendo la capacità di riassorbimento dei tubuli prossimali. Come conseguenza, le FLC arrivano nei tubuli distali e interagiscono con la Proteina di Tamm-Horsfall per formare cilindri di mieloma. Sia l’ostruzione dei tubuli distali che le lesioni mediate da FLC ai tubuli prossimali contribuiscono alla comparsa di AKI [13, 14]. L’ipercalcemia indotta dal cancro si verifica nel 10-30% di tutti i pazienti con tumori maligni (più comune nel MM e nel carcinoma squamoso cellulare del polmone) [5]. I segni e i sintomi dell’ipercalcemia sono aspecifici e quindi la sua diagnosi è spesso ritardata. I sintomi possono includere nausea, vomito, costipazione, dolore addominale, anoressia, dolore osseo, poliuria, affaticamento, debolezza e, nei casi più gravi, sintomi neurologici come confusione e coma [15]. All’ipercalcemia sono stati associati l’incremento dell’ormone paratiroideo, dovuto a osteolisi locale secondaria all’invasione ossea del tumore, e l’assorbimento osseo dovuto a eccesso di produzione di vitamina D da parte delle cellule neoplastiche.

La diagnosi differenziale di microangiopatia trombotica (TMA) nei pazienti oncologici deve essere fatta tra la TMA indotta da cancro e la TMA indotta da farmaci, ma è importante non escludere la possibile diagnosi di porpora trombotica trombocitopenica (TTP) o sindrome emolitico-uremica mediata dal complemento ‒ o sindrome emolitico-uremica atipica (SEUa). Caratteristiche biochimiche tipiche della TMA sono l’anemia emolitica microangiopatica Coombs negativa e la trombocitopenia. Metastasi microvascolari sistemiche o infiltrazioni diffuse dell’osso potrebbero essere le responsabili della TMA indotta dal cancro [16]. Il dolore alla schiena o alle ossa è comune [17]. La maggior parte dei casi sono secondari a tumori degli organi solidi: la prognosi di questi pazienti è infausta.

Cause correlate al trattamento

Numerosi trattamenti oncologici possono indurre AKI attraverso lesioni dirette al rene, come nel caso di interventi chirurgici o di AKI post-renale dovuta a fibrosi secondaria a radioterapia o AKI indotta da chemioterapia, oppure attraverso effetti indiretti, come nella sindrome da rilascio di citochine (CRS), nella sindrome da lisi tumorale (TLS) e nella TMA indotta da farmaci [18]. Tra i classici agenti chemioterapici citotossici, quelli più comunemente correlati allo sviluppo di AKI sono il cisplatino (dose ≥60 mg/m2), la mitomicina-C, la gemcitabina, il metotrexate (MTX) (dose ≥500 mg/m2), la Ifosfamide e il pemetrexed.

Gli immuno-checkpoint inibitori (ICI) inducono potenti effetti antitumorali scatenando l’immunità delle cellule T anti-cancro e hanno rivoluzionato il trattamento del cancro negli ultimi anni, con effetti negativi coinvolgenti la cute, gli organi endocrini o il sistema gastrointestinale, mentre i reni sono raramente colpiti (sviluppo di proteinuria subnefrosica e piuria [19]). La nefrite tubulointerstiziale acuta è il reperto bioptico più frequente.

Le terapie con cellule T del recettore dell’antigene chimerico (CAR-T) utilizzate nel trattamento delle neoplasie ematologiche [20] inducono produzione di grandi quantità di citochine infiammatorie, con possibile conseguente CRS e sviluppo di AKI pre-renale. Oltre all’AKI, sono frequentemente osservati disturbi elettrolitici e in particolare ipofosfatemia, ipokaliemia e iponatremia. I meccanismi sottostanti includono rilascio di cortisolo, deplezione di volume e incremento di produzione di interleuchina-6 (IL-6).

Per contro gran parte delle cause sopra citate di sviluppo di AKI possono essere responsabili di sviluppo di CKD che può essere più o meno velocemente evolutiva in rapporto alla presenza di albuminuria [3].

Le Linee Guida KDIGO [21] del 2012 relative alla stadiazione della CKD basata sul filtrato glomerulare (GFR)

  • G1= GFR >90 ml/min
  • G2 = GFR 60-89 ml/min
  • G3a = GFR 45-59 ml/min
  • G3b = GFR 30-44 ml/min
  • G4 = GFR 15-29 ml/min
  • G5 = GFR <15 ml/min

e sull’albuminuria

  • A1 <30 mg/l
  • A2 30-300 mg/l
  • A3 >300 mg/l

indicano un peggioramento della prognosi con un rischio:

  • basso negli stadi G1-A1, G2-A1,
  • moderato negli stadi G1-A2, G2-A2, G3a-A1,
  • elevato negli stadi G1-A3, G2-A3, G3a-A2, G3b-A1,
  • molto elevato negli stadi G3a-A3, G3b-A2-A3, G4-A1-A2-A3, G5-A1-A2-A3

 

Il trattamento dell’AKI nei pazienti con cancro

Il trattamento dell’AKI nei pazienti con cancro [4] prevede strategie preventive per proteggere la funzione renale quali l’idratazione, l’utilizzo di agenti non nefrotossici, la correzione dell’anemia, l’utilizzo di strategie preventive nel caso di utilizzo di mezzi di contrasto iodati al fine di prevenire lo sviluppo di AKI indotta da mezzo di contrasto (CI-AKI) e nel caso di utilizzo di farmaci dichiaratamente nefrotossici, l’aggiustamento del dosaggio della terapia oncologica nei pazienti con CKD, la necessità di utilizzo di biomarcatori specifici.

A tal fine è indispensabile una precoce diagnosi di AKI mediante il controllo della funzione renale basale (eGFR secondo la formula CKD-EPI), il follow-up dell’andamento della creatinina, il controllo degli elettroliti, dell’esame urine e della proteinuria, l’effettuazione di ecografie e TAC, l’eventuale biopsia renale.

La valutazione dei pazienti deve essere fatta in team multidisciplinare e in funzione dello sviluppo di AKI devono essere tempestivamente presi gli opportuni provvedimenti che prevedono anche l’avvio del trattamento sostitutivo renale (RRT).

Le Linee Guida KDIGO riferite all’avvio della RRT nel paziente con AKI [22] prevedono l’avvio in condizioni di emergenza nel caso di cambiamenti significativi del bilancio dei fluidi, degli elettroliti, dell’equilibrio acido-base. Deve essere valutato attentamente il trend degli esami di laboratorio piuttosto che l’incremento di un singolo esame prima di avviare la RRT, che dovrebbe in ogni caso essere discussa col nefrologo oltre che con l’oncologo e l’intensivista.

Potenziali indicazioni per l’avvio della RRT possono essere suddivise in urgenti e relative [23].

Indicazioni urgenti sono:

  • Grave acidosi metabolica refrattaria al trattamento medico
  • Edema polmonare
  • Complicanze uremiche (pericardite, encefalopatia, sanguinamento)
  • Grave iperkaliemia refrattaria al trattamento medico
  • Sovraccarico di liquidi intrattabile associato a disfunzione d’organo
  • Intossicazione concomitante con un farmaco dializzabile o una tossina

Indicazioni relative sono:

  • AKI progressiva e/o persistente (AKIN 3 e/o oliguria)
  • Grave disfunzione d’organo peggiorata dall’AKI
  • Peggioramento della traiettoria della malattia critica

Nel 2000 è stato pubblicato il primo lavoro che ha cercato di trovare la dose ottimale da somministrare in continuous veno-venous hemofiltration (CVVH) ai pazienti affetti da AKI [24]. La dose che ha garantito una migliore sopravvivenza è stata di 35 ml/Kg/h (dose AKI), ed è stato evidenziato che l’avvio precoce del trattamento può migliorarla ulteriormente in modo significativo. Un altro lavoro altrettanto interessante ha dimostrato che un incremento della dose dialitica, ottenuto aggiungendo alla dose convettiva di 24±6 ml/kg/h (dose AKI del lavoro di Ronco) una dose diffusiva di 18±5 ml/kg/h, ha migliorato in modo significativo la sopravvivenza dei pazienti affetti da AKI, passando dal 38% in CVVH al 64% in CVVHDF (p<0,0004) [25].

Il tipo di trattamento, la dose ed i tempi di avvio della RRT sembrano quindi avere un’importanza strategica nel recupero dell’AKI nei pazienti ricoverati in terapia intensiva [26]. Lo studio “VA/NIH (ATN study)” [27] ha dimostrato che un ritardo nell’avvio del trattamento è probabilmente responsabile dell’elevato tasso di dipendenza dalla dialisi. La dose dialitica di 45 ml/kg/h, proposta da Ronco per il paziente settico [24], è stata messa in discussione da un gruppo di esperti rianimatori francesi che hanno però raccomandato la reale somministrazione di 35 ml/kg/h soprattutto nei pazienti con AKI [28]. Il “RENAL Study” ha dimostrato che non ci sono differenze statisticamente significative sulla sopravvivenza dei pazienti trattati in modo intensivo rispetto a quelli trattati con dosi dialitiche più basse [29]. Lo studio “IVOIRE” ha definitivamente sancito che alte dosi convettive di 70 ml/kg/h non migliorano la sopravvivenza dei pazienti con AKI rispetto a dosi standard di 35 ml/kg/h [30], da considerarsi oggi quella di riferimento nelle prescrizioni. Al fine di garantire i migliori risultati terapeutici, è stato quindi sottolineato il concetto di dose realmente somministrata, rispetto a quella prescritta, con riduzione del downtime.

Molti studi randomizzati controllati sono stati effettuati negli anni per stabilire il timing di avvio del trattamento sostitutivo precoce (AKIN 2) o ritardato (AKIN 3), ma a parte lo studio ELAIN pubblicato su JAMA nel 2016 [31], che ha dimostrato una mortalità a 90 giorni del 54% nei pazienti con avvio ritardato rispetto al 39% nei pazienti con avvio precoce, i successivi studi AKIKI pubblicato su NEJM nel 2016 [32], IDEAL-ICU pubblicato su NEJM nel 2018 [33], e STARRT-AKI pubblicato su NEJM nel 2020 [34], non hanno dimostrato differenze di mortalità nei due gruppi di pazienti che si è attestata intorno al 50%.

 

Il trattamento sostitutivo renale dell’AKI nei pazienti con cancro

Le principali tossine uremiche possono essere suddivise in base al peso molecolare basso (0-500 Daltons) e medio (>500 Daltons) fino al «muro dell’albumina» (60000 Daltons) e al legame con le proteine [35].

Le tecniche dialitiche diffusive sono efficaci principalmente per la rimozione delle molecole a basso peso molecolare, quelle convettive per la rimozione di quelle a medio peso molecolare e non oltre il peso molecolare dell’albumina, le tecniche adsorbitive sono efficaci per la rimozione di sostanze legate alle proteine.

Riassumendo, esistono differenti modalità di trattamento sostitutivo in funzione del quadro clinico del paziente con AKI e cancro: emodialisi intermittente (IHD), trattamento sostitutivo prolungato intermittente (PIRRT), trattamento sostitutivo continuo (CRRT) [36].

L’IHD viene effettuato in pazienti emodinamicamente stabili, la rimozione di tossine e sostanze a basso peso molecolare è rapida, permette l’interruzione per eseguire procedure diagnostiche e terapeutiche, ha una ridotta esposizione alla terapia anticoagulante e ha costi inferiori rispetto alla CRRT. Potenziali svantaggi sono l’ipotensione in caso di rapida rimozione dei liquidi, la possibile sindrome da disequilibrio con il rischio di edema cerebrale, e la sua maggiore complessità tecnica con necessità di competenze specifiche.

La PIRRT viene effettuata in pazienti emodinamicamente instabili, ha una rimozione lenta di volumi e soluti, garantisce stabilità emodinamica e permette l’interruzione per eseguire procedure diagnostiche e terapeutiche. Ha una ridotta esposizione alla terapia anticoagulante, una più lenta clearance delle tossine, che è ma è tecnicamente ancora più complessa dell’IHD.

La CRRT viene effettuata in pazienti emodinamicamente instabili, ad aumentato rischio di ipertensione endocranica, permette una rimozione continua di tossine, garantisce stabilità emodinamica e un facile controllo del bilancio idrico, nessun aumento della pressione endocranica indotto dal trattamento, i monitor sono user-friendly e permettono una più lenta clearance delle tossine. Per contro necessita di anticoagulazione prolungata, immobilizzazione del paziente, può determinare ipotermia ed ha costi più elevati.

Le caratteristiche operative delle differenti modalità di RRT per l’AKI sono [37]:

IHD flusso sangue 400-500 ml/min, flusso del dialisato 600-800 ml/min, Ultrafiltration rate 0-1000 ml/h, durata 3-4 ore, frequenza 3 giorni/settimana;

PIRRT flusso sangue 200-400 ml/min, flusso del dialisato 66-200 ml/min, Ultrafiltration rate 0-400 ml/h, durata 8-12 ore, frequenza 4-7 giorni/settimana;

CRRT flusso sangue 100-300 ml/min, flusso del dialisato/reinfusato 20-25 ml/kg/h, Ultrafiltration rate 0-200 ml/h, durata 24 ore, frequenza 7 giorni/settimana.

L’Ultrafiltration rate medio deve essere compreso tra 1,01 e 1,75 ml/kg/h, valori al di sotto o al di sopra sono responsabili di morte rispettivamente per edema polmonare o eventi ischemici [38]. Fondamentale per la gestione di un trattamento efficace è il controllo attento di tutti i parametri quali la pressione di transmembrane, la frazione di filtrazione, il flusso plasmatico e il coefficiente di ultrafiltrazione.

Fondamentale è il controllo della cinetica dell’urea nelle diverse modalità di RRT. La cinetica dell’urea è un marcatore subottimale per valutare l’adeguatezza della KRT. Tuttavia, le attuali linee guida per l’adeguatezza dell’emodialisi e della CRRT utilizzano la cinetica dell’urea e Kt/Vurea. Il Kt/V dell’urea standard (StdKt/Vurea) può essere utilizzato per confrontare le prescrizioni settimanali delle diverse modalità. La CRRT con una dose di effluente di 20 ml/kg/h fornisce uno StdKt/Vurea di 6 (assumendo nessuna interruzione della terapia 7 giorni su 7) mentre l’HD intermittente, tre volte a settimana, con un single pool Kt/Vurea di 1,3 per trattamento fornisce uno StdKt/Vurea settimanale di 2.0. La PIRRT fornisce un single pool Kt/Vurea di circa 0,9 per sessione e, se somministrata per 6 giorni alla settimana, fornisce uno StdKt/Vurea settimanale di 3,5 [37].

Sebbene molti pazienti con AKI abbiano un recupero della funzione renale tale da renderli indipendenti dalla RRT, la sospensione della terapia sostitutiva renale in corso di AKI ha ricevuto scarsa attenzione in letteratura. La decisione se o quando interrompere la RRT in un paziente con AKI deve basarsi sull’adeguatezza del recupero della funzione renale, sul miglioramento della condizione che ha richiesto il supporto renale o sulla sua futilità.

Un ampio studio osservazionale prospettico ha mostrato che in 529 pazienti che sono sopravvissuti dopo il periodo iniziale di CRRT, 313 hanno sospeso con successo la RRT, mentre 216 hanno avuto necessità di riprendere la CRRT entro 7 giorni dalla sospensione. La regressione logistica multivariata ha individuato l’output urinario come il più significativo fattore predittivo di interruzione del trattamento senza necessità di una successiva ripresa (OR 1.078 per 100 ml/die). Non sorprende che la capacità predittiva della diuresi sia influenzata negativamente dall’uso dei diuretici [39]. In conclusione, una diuresi >400 ml/die senza uso di diuretici o >2300 ml/die con utilizzo di diuretici sembra garantire una chance di successo dell’80% dell’interruzione della CRRT.

A conferma di queste osservazioni una recente sottoanalisi dello studio AKIKI ha messo in evidenza come una diuresi di 1000 ml/24 ore in assenza di terapia diuretica o >2000 ml/24 ore con utilizzo di diuretici abbia garantito una sospensione di successo del trattamento a distanza di 7 giorni [32].

In un recente lavoro pubblicato nel 2019 [40] la predittività di stacco di successo a breve termine della CRRT è stata ottenuta calcolando la clearance della creatinina (BCrC) a 6 ore dallo stacco e il rapporto creatinina (Cr) misurata al giorno dello stacco (D0) e due giorni dopo (D2). Il cut-off ottimale è risultato per la BCrC di 11 ml/min (95% CI 6-16 ml/min) e per il rapporto CrD2/CrD0 di 1,41 (1,27-1,59). Lo stacco di successo della CRRT si otteneva pertanto osservando una BCrC >16 ml/min e un rapporto CrD2/CrD0 <1,27 soprattutto nei pazienti con un bilancio dei fluidi negativo e una diuresi di 2424 ml/24 ore.

 

Il trattamento sostitutivo renale dell’AKI nei pazienti con cancro: anticoagulazione dei circuiti

Risulta di fondamentale importanza l’anticoagulazione dei circuiti: nella maggior parte dei trattamenti extracorporei, per prevenire i fenomeni di coagulazione del circuito, si ricorre all’anticoagulazione sistemica con eparina, che tuttavia incrementa il rischio di sanguinamento, di per sé già elevato nei pazienti ricoverati nei reparti di Terapia Intensiva. Ad oggi le recenti linee guida KDIGO e il Position Statement della Società Italiana di Nefrologia indicano il protocollo di anticoagulazione regionale con citrato (RCA) come prima scelta nella gestione delle CRRT [41, 42]. Il citrato infatti, chelando il calcio, inibisce l’attivazione della cascata coagulativa e la conseguente formazione di trombina; il suo utilizzo “regionale” permette di ottenere un’ottimale anticoagulazione del circuito, con riduzione degli episodi di impaccamento e del downtime, mantenendo inalterato lo stato coagulativo del paziente.

Per ottenere un’anticoagulazione ottimale del circuito, la dose di citrato deve essere proporzionata al flusso sangue; nel circuito, infatti, dovrebbe essere raggiunta una concentrazione di citrato pari a circa 2-4 mmol/l (la concentrazione normale di citrato nel sangue è di 0.05 mmol/l). Infondendo citrato all’inizio del circuito extracorporeo, il calcio ionizzato (iCa++) viene chelato e la sua concentrazione nel circuito deve essere portata da 1-1.2 mmol/l a 0.2-0.4 mmol/l. In CRRT le membrane da emofiltrazione sono liberamente permeabili al citrato che ha un peso molecolare di 192 Da, per cui, di tutto il citrato immesso nel circuito, la parte complessata come Ca++-citrato viene ultrafiltrata e/o dializzata e la parte libera ritorna al paziente con il sangue della linea venosa di rientro [43]. Inoltre, l’infusione (in CVVH) e il dialisato (in CVVHDF) sono privi di Ca++, per cui la quota di Ca++ persa come ultrafiltrato o dialisato viene infusa alla fine del circuito extracorporeo prima del rientro del sangue nel paziente. Il citrato viene metabolizzato in bicarbonato nel ciclo di Krebs a livello epatico (principalmente), muscolare e renale e il Ca++ che ritorna libero rientra nel pool del iCa++, preservando il paziente dall’anticoagulazione sistemica. Ogni molecola di citrato può dare origine a tre molecole di bicarbonato, senza effetti sulla coagulazione sistemica. Un ulteriore vantaggio dato dall’uso del citrato deriva dalle caratteristiche di maggiore biocompatibilità della metodica, con una minore attivazione delle piastrine e dei leucociti rispetto all’impiego di eparina [44, 45].

Una particolare attenzione deve essere rivolta ai pazienti con insufficienza epatica che hanno una ridotta capacità metabolica per il citrato, il quale, accumulandosi, può causare acidosi metabolica. L’acidosi metabolica dovuta a elevati livelli di citratemia è caratterizzata da un elevato “anion gap” e da una diminuzione del rapporto iCa++/Ca++ totale [46, 47]. Questi effetti collaterali sono parzialmente corretti da schemi di infusione di citrato che ne mantengono una concentrazione di 3 mmol/l. È, inoltre, necessario il monitoraggio metabolico del paziente con controlli del iCa++ sistemico (v.n. 1.0-1.2 mmol/l) a 30′, 1 ora e 2 ore dall’avvio del trattamento e, successivamente, ogni 6 ore, del iCa++ post filtro (v.n. 0.2-0.4 mmol/L) a 30′ dall’avvio del trattamento e, successivamente, ogni 6 ore, del rapporto Ca++ totale/iCa++ sistemico che deve essere <2.5 a 24 ore dall’avvio del trattamento per esprimere un livello non tossico di citratemia [48] e ogni 6-12 ore dell’equilibrio acido-base, al fine di ottimizzare le infusioni per ottenere la maggiore durata possibile dei circuiti. L’anticoagulazione regionale con citrato è stata utilizzata in molti tipi di RRT, comprese la PIRRT, la CVVHD, la CVVH e la CVVHDF [49], dimostrando, rispetto all’eparina, una significativa superiorità in termini di aumento della vita dei filtri e di minore incidenza di complicanze emorragiche [43, 50, 51], risultando quindi più efficace e sicura [52].

Una recente metanalisi del 2023 [53] relativa all’utilizzo della RCA in pazienti con insufficienza epatica, è stata effettuata su 3951 articoli, selezionandone 12 in CRRT, 4 in Plasma Exchange (PE) e 3 in Molecular Adsorbing Recirculating System (MARS). Ha messo in evidenza una coagulazione complessiva dei circuiti del 4,4% e analizzando i lavori effettuati in CRRT del 4,0%, inferiore a quella osservata in pazienti trattati con MARS (11%).

L’accumulo complessivo di citrato è risultato del 6,7% e analizzando i lavori effettuati in CRRT del 4,7%, inferiore a quello osservato in pazienti trattati con PE (29,6%). La RCA è risultata sicura evidenziando un sanguinamento dei pazienti complessivamente del 5,0% e analizzando i lavori effettuati in CRRT del 4,6%, inferiore a quello osservato in pazienti trattati con PE (13,0%) e leggermente superiore a quello dei pazienti trattati con MARS (2,6%).

Il ridotto sanguinamento in CRRT potrebbe essere spiegato dalla perdita dei complessi Citrato-Ca++ direttamente proporzionale all’ultrafiltrazione che viene effettuata in CRRT [54], con conseguente ridotto accumulo anche in pazienti con insufficienza epatica.

Un altro argomento controverso relativo alla RCA in CRRT è quello relativo al suo utilizzo in pazienti con iperlattatemia. In una recente metanalisi del 2017 [55] è stata valutata la cinetica del lattato in pazienti con e senza accumulo di citrato in CRRT con RCA. La lattatemia iniziale è stata suddivisa in non critica (<4 mmol/l) e critica (>4 mmol/l). È stato dimostrato che è importante valutare l’incremento della lattatemia a 6 e 12 ore; nei pazienti con lattatemia non critica l’accumulo di citrato può essere predetto già entro le 12 ore, mentre la stabilità dei valori di lattato è indicativa di non accumulo nelle 24 ore successive. Nei pazienti con lattatemia critica la stabilità dei valori di lattato, anche se è elevata è indicativa di non ulteriore accumulo nelle 24 ore successive, mentre la riduzione del lattato già nelle prime 6 ore è predittiva di una sua normalizzazione a 24 ore nei pazienti senza accumulo di citrato (Ca++totale/iCa++sistemico <2,5).

 

Conclusioni

Il momento ottimale per iniziare la RRT nei pazienti con AKI nel cancro rimane un dilemma clinico per i nefrologi e gli oncologi. Le evidenze disponibili in letteratura hanno sottolineato la complessità delle strategie di avvio e di gestione della RRT. È fondamentale un approccio “personalizzato” incentrato sul paziente che comprenda un’attenta valutazione della traiettoria complessiva degli esami e della clinica del paziente, integrando le informazioni cliniche di base, la severità della malattia, le disfunzioni d’organo, piuttosto che fare affidamento sui singoli valori di laboratorio. Negli ultimi anni sono state proposte diverse tecniche dialitiche, dosi dialitiche differenti per contrastare gli effetti sistemici dell’AKI anche in considerazione del fatto che a distanza di 5 anni dalla diagnosi di neoplasia il 40% dei pazienti in condizioni critiche con cancro necessita di terapia sostitutiva renale.

L’anticoagulazione regionale con citrato si è dimostrata sicura ed efficace e consente una precisa corrispondenza tra dose dialitica prescritta e dose somministrata. Le controindicazioni al suo impiego in condizioni di severa insufficienza epatica e iperlattatemia sono state riviste considerando che la perdita di citrato è direttamente proporzionale all’intensità della dose dialitica e quindi dell’ultrafiltrato e che l’incremento dei valori di lattato non controindica la RCA soprattutto se il suo valore iniziale è <4 mmol/l e se il suo trend iniziale si riduce entro le prime 6-12 ore anche se il valore iniziale è >4 mmol/l.

L’approccio multidisciplinare onco-nefrologico è fondamentale per la gestione dei pazienti con cancro e AKI al fine di garantirne il miglior trattamento possibile per ridurre il tasso di mortalità, che è elevato in questa categoria di pazienti.

 

Bibliografia

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