Supplemento S77 - Articoli originali

Inibitori della calcineurina e trapianto renale

Abstract

Gli inibitori della calcineurina (CNI) hanno rivoluzionato i risultati del trapianto d’organo e sono tuttora i farmaci immunosoppressori più usati nel trapianto. I CNI inibiscono un sistema di fosfatasi necessario per consentire la translocazione  nel nucleo di un fattore di trascrizione da cui dipende la sintesi di interleuchina-2. Questo passaggio è fondamentale per la successiva proliferazione e differenziazione delle cellule T. In questo articolo vengono brevemente riassunte le caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche di CNI, i loro  potenziali effetti collaterali renali ed extra-renali ed i risultati ottenuti con CNI nel trapianto renale. Per prevenire eventi avversi  le dosi di CNI  dovrebbero essere ridotte  in presenza di insufficienza renale o ipertensione severa, l’uso di farmaci nefrotossici dovrebbe essere evitato quando possibile, molta attenzione dovrebbe essere posta nell’usare   farmaci che interferiscono con l’attività del citocromo P450 o della glicoproteina P. Inoltre, non va fatto troppo affidamento ai livelli ematici di CNI, che non riflettono la concentrazione intracellulare, che è molto superiore e molto più importante  di quella plasmatica.

I due inibitori della calcineurina (CNI) attualmente in commercio sono ciclosporina (CsA) e tacrolimus (TAC). CsA è un polipeptide ciclico composto da circa 11 aminoacidi derivato dal fungo Tolypocladium inflatum gums. TAC è un antibiotico macrolide derivato dal fungo Streptomyces tsukubaensis. I due CNI hanno una struttura molecolare diversa, ma entrambi hanno simili caratteristiche farmacologiche ed un simile meccanismo d’azione consistente nell’inibizione della calcineurina intra-cellulare.

I due CNI originali sono stati sostituiti rispettivamente da una nuova microemulsione per la CsA  (Neoral) e da una formulazione che consente una mono-somministrazione giornaliera per il TAC (Adavagraf). Sono anche disponibili formulazioni generiche.

Farmacocinetica

Dopo somministrazione orale e riassorbimento nel piccolo intestino, il 60% dei CNI  si lega nel sangue agli eritrociti,  il 33% a lipoproteine ed una minima frazione circola libera. CNI sono  metabolizzati nel fegato e nell’intestino da isoenzimi del citocromo P-450 (CYP450). Fattori che inibiscono l’attività dl CYP450  aumentano la biodisponibilità di CNI, mentre induttori di CYP450 diminuiscono la biodisponibilità di CNI (1). I metaboliti sono eliminati principalmente con la bile ed in piccola parte con le urine. Rispetto alla formulazione originale la microemulsione di CsA (Neoral) ha un assorbimento più completo e rapido. Numerose variabili possono influenzare la biodisponibilità e la farmacocinetica di CNI (Tab 1).

Fattori che inibiscono o attivano gli isoenzimi del citocromo P450 (CYP450)
Tabella 1. Fattori che inibiscono o attivano gli isoenzimi del citocromo P450 (CYP450) aumentando o riducendo la biodisponibilità dei CNI

Farmacodinamica

I CNI sono farmaci lipofilici  e penetrano facilmente attraverso le membrane cellulari. La loro azione si esercita all’interno delle cellule. La concentrazione intracellulare è regolata  dalla glicoproteina-P (o ATP-binding cassette ABC B1 o multi-drug resistence protein). Questa proteina limita una eccessiva  concentrazione intracellulare di tossine e farmaci, inclusi CNI, favorendo l’ efflusso dalle cellule e aumentando la concentrazione ematica. Oltre a possibili mutazioni genetiche, numerosi fattori possono inibire o stimolare l’attività della glicoproteina P (Tab 2).

Fattori che possono alterare l’attività della glicoproteina P (Pgp)
Tabella 2. Fattori che possono alterare l’attività della glicoproteina P (Pgp) ed influenzare la farmacodinamica di CNI

Limiti del monitoraggio dei CNI

Attualmente il dosaggio di CNI viene regolato sulla base dei livelli ematici, il cosiddetto therapeutic drug monitoring (TDM). Tuttavia, vi è una notevole variabilità  non solo  tra soggetto e soggetto ma anche nel singolo individuo in diverse situazioni fisiologiche o patologiche. Inoltre, entrambi i CNI sono sotto l’influenza di polimorfismi genetici. Pertanto, è difficile stabilire una correlazione tra dosi ematiche e rigetto o tossicità. Nell’esperienza quotidiana si possono osservare rigetti acuti in pazienti con elevati livelli ematici di CNI o viceversa, dimostrando che i livelli ematici di CNI non correlano con l’effetto farmacologico [2]. Di fatto, il livello ematico  non riflette  la concentrazione di CNI nei linfociti, dalla quale dipende l’attività immunosoppressiva. Vi sono pochi dati sulla concentrazione intracellulare di CNI, generalmente focalizzati sul ruolo di  polimorfismi genetici [3,4]. Uno studio  sulla farmacocinetica di TAC nei pazienti con trapianto renale  ha dimostrato che i) esisteva una correlazione relativamente lineare  tra TAC ematico ed intracellulare se la funzione del trapianto era stabile; ii) il sesso, l’ematocrito, e la durata del trapianto avevano una influenza importante   sul rapporto  ematico-intracellulare, che risultava più elevato nel sesso femminile, nei pazienti con basso ematocrito e nei pazienti con breve durata del trapianto ; iii) non vi era correlazione tra rapporto ematico-intracellulare e andamento clinico o polimorfismo genetico [5]. Al momento, non è prudente confidare nei livelli ematici di CNI per prendere decisioni cliniche. Sono necessari nuovi  studi sono per valutare l’importanza delle concentrazioni intracellulari di CNI in diverse circostanze cliniche, quali rigetto, infezioni e tossicità da CNI.

 

Meccanismi d’azione

CNI sono farmaci lipofilici e possono agevolmente penetrare nelle cellule. All’interno della cellula il CNI si lega al suo recettore specifico, ciclofilina per CsA e FKBP-12 per TAC. Il complesso farmaco-recettore inibisce l’attività fosfatasica della calcineurina, un complesso proteico appartenente alla superfamiglia di serin-treonina fosfatasi, che esplica un ruolo chiave nella risposta cellulo-mediata. Quando il linfocita è attivato dal contatto tra i fattori di costimolazione della cellula presentante l’antigene  (CD 80-86 e CD40) e  i fattori di costimolazione del linfocita(CD28 e CD154 ), si ha una forte produzione intracellulare di ioni calcio. Questi attivano la calcineurina, una protein-fosfatasi-3 calcio- e calmodulina-dipendente che defosforila una famiglia di fattori di trascrizione, chiamata nuclear factor of activated T cells (NFAT), consentendone la translocazione nel nucleo. I membri di NFAT hanno una regione omologa che media il contatto con DNA. NFAT1, NFAT2, e NFAT4  partecipano all’attivazione trascrizionale di geni e partecipano quindi alla codificazione e alla sintesi di alcune citochine,  tra cui interleuchina-2 (IL-2), che dopo essersi legata al  suo recettore stimola, insieme a IL-15,  una cascata di chinasi governata dalla  PI3K (fosfatidilinositolo chinasi 3) con la mediazione di mTORc1(mammalian target-of-rapamycin complex 1). Queste chinasi propagano i segnali necessari per la proliferazione e differenziazione dei linfociti T in Th1 e Th17. Inibendo la produzione di IL-2, CNI non solo prevengono la differenziazione delle cellule T, ma possono  anche inibire l’attivazione delle cellule B, interferendo sulla cooperazione T-B [6]. Possono, inoltre,  modulare alcune molecole di superficie delle cellule dendritiche e alterare quindi la presentazione dell’antigene alle cellule T [7]. Infine,  inibiscono  la sintesi del macrophage-activating factor, prevenendo la sintesi di macrofagi e monociti. Questi effetti intervengono rapidamente, sono dose-dipendenti e receversibili [8]. Oltre alla loro  attività immunosoppressiva  CNI  possono anche  prevenire danni podocitari,  bloccando la defosforilazione da parte della calcineurina della sinaptopodina, una proteina fondamentale per la sintesi e la regolazione dei filamenti actinici che compongono il  citoscheletro podocitario. Questo meccanismo è stato  dimostrato per la  CsA [9] ma è verosimile che sia operante anche col TAC.

 

Effetti collaterali

Il limite maggiore di CNI  è rappresentato dal loro basso indice terapeutico (rapporto tra dose tossica e dose efficace). Ne consegue una frequente incidenza di effetti collaterali, generalmente correlati al dosaggio o all’interferenza con altri farmaci  che possono alterare la funzione del CYP 450 o della glicoproteina P. Molti di questi effetti collaterali sono comuni ai due farmaci, ma la loro incidenza e gravità può essere diversa.

Alcune importanti complicazioni, come infezioni e neoplasia, sono riferibili all’immunosoppressione e non sono specifiche. Altri effetti collaterali sono invece riferibili all’azione selettiva dei farmaci. Tra questi i più frequenti sono nefrotossicità, ipertensione arteriosa, dislipidemia, diabete, neurotossicità, difetti estetici.

Nefrotossicità. Dal punto di vista fisiopatologico e clinico è possibile riconosce due tipi di nefrotossicità: acuta e cronica.

La nefrotossicità acuta è caratterizzata clinicamente da riduzione della filtrazione glomerulare (GFR), aumento di creatininemia, azotemia ed uricemia. Istologicamente, possono essere presenti sia  lesioni tubulari che arteriolari. Nelle fasi iniziali, la ridotta GFR non è associata ad alcuna alterazione istologica, ma è legata alla vasocostrizione renale indotta da CNI. Questi farmaci   favoriscono una ridotta attività di molecole vasodilatatrici, come ossido nitrico, prostaciclina , prostaglandina E2 ed una aumentata espressione di agenti vasocostrittori, come angiotensina II, endotelina 1, trombossani e leucotrieni [10].  Le lesioni tubulari consistono in vacuolizzazione isometrica, microcalcificazioni e mitocondri giganti. Sono più frequenti con CsA che con TAC, ma non sono patognomoniche e sono reversibili se il dosaggio di CNI  viene ridotto. Le lesioni arteriolari sono caratterizzate da necrosi focale dei miociti nella media delle arteriole [11]. Anche le lesioni arteriolari   sono potenzialmente reversibili, se le dosi di  CNI vengono diminuite, ma, in presenza di reni con  precedenti alterazioni parenchimali o sottoposti al danno da ischemia-riperfusione, CNI possono  favorire lo sviluppo di nefropatia tubulare con  insufficienza renale acuta o anche microangiopatia trombotica [12].

La nefrotossicità cronica è caratterizzata  da riduzione  progressiva di GFR causata da lesioni tubulo-interstiziali, glomerulosclerosi e vasculopatia obliterante. La fibrosi interstiziale è l’alterazione istologica dominante. E’ causata  da produzione eccessiva di matrice extra-cellulare nell’interstizio con  accumulo  di collagene e altre molecole correlate ed è sempre associata ad atrofia tubulare, da qui l’acronimo IFTA (Interstitial Fibrosis Tubular Atrophy). Diverse cellule e mediatori sono coinvolti nella patogenesi di IFTA. Le cellule includono fibroblasti, fibrociti, miofibroblasti e monociti/macrofagi. I mediatori molecolari sono bone morphogenic protein (BMP), platelet-derived growth factor (PDGF),  hepatocyte growth factor (HGF) e transforming growth factor beta 1 (TGF-β1), che è considerato il mediatore chiave [13], favorendo lo sviluppo di fibrosi interstiziale attraverso  la transdifferenziazione di cellule endoteliali ed epiteliali a cellule mesenchimali e la produzione di matrice extracellulare  [14]. Nella sua forma latente il TGF-β fa parte  di un macro-complesso con altri polipeptidi. L’arteriolopatia da CNI aggravata dalla vasocostrizione produce ipossia, uno stimolo importante per l’attivazione di fattori che   slatentizzano  TGF-β dal suo grande complesso intracellulare. Sotto l’effetto di   trombospondina 1,  TGF-β si lega al suo recettore II che  subisce una rotazione ed un riarrangiamento delle chinasi citoplasmatiche favorendo l’attivazione del recettore I di TFG-β [15]. Questi propaga il segnale a piccole proteine (SMAD), che regolano la crescita , la differenziazione e l’apoptosi cellulare [16]. SMAD 1,2,3,5,8 sono chiamate regolatrici (R-SMAD), SMAD 4 (co-SMAD) collabora con R-SMAD mentre SMAD 6 e 7 inibiscono il segnale di attivazione [17]. R-SMAD si legano a co-SMAD ed entrano nel nucleo dove attivano promotori e cofattori di trascrizione causando la trascrizione di DNA. Aumentati livelli di angiotensina II possono contribuire allo sviluppo di IFTA, sia interferendo direttamente sulla matrice extra-cellulare che aumentando l’espressione di TGF-β,PDGF, tumor necrosis factor, plasminogen activator inhibitor (PAI) e osteopontina [18].

CNI possono produrre IFTA con diversi meccanismi. L’ipossia, indotta dall’ischemia renale, sopprime la crescita  delle cellule epiteliali tubulari e  favorisce la loro apoptosi ed  atrofia aumentando l’espressione di TGF-β1 e altri fattori profibrotici [19]. CNI  aumentano l’espressione del PAI che favorisce il reclutamento di cellule interstiziali e di microRNA TGF-β1 nelle cellule tubulari [20]. L’angiotensina II, attivata da CNI ,  favorisce il rilascio di aldosterone, stimola il trasporto tubulare di molecole infiammatorie e profibrotiche e l’ulteriore produzione di TGF-β1 [21]. CNI possono produrre necrosi della muscolatura liscia che viene rimpiazzata da  depositi ialini nodulari nella parete di arteriole afferenti (ialinosi  nodulare) con ostruzione del lume vascolare [22]. Il danno vascolare contribuisce con la fibrosi interstiziale e l’atrofia tubulare nel determinare lesioni istologiche irreversibili. Oltre al danno endoteliale  CNI favoriscono l’aggregazione piastrinica e l’attivazione del PAI, esercitando così un’attività protrombotica [23].

Ipertensione arteriosa. La vasocostrizione renale indotta da CNI  sulle arteriole afferenti preglomerulari produce una riduzione di GFR e natriuresi,  con ritenzione di acqua e sodio. Questa  è aggravata dall’ inibita secrezione di ormone natriuretico da parte dell’angiotensina II e dall’attivazione dei co-trasportatori Na-K-2Cl nell’ansa ascendente e    Na-Cl nel tubulo distale da parte di CNI [24]. Ne consegue un’espansione dei liquidi extracellulari con aumento della gettata cardiaca. Anche valori di renina-angiotensina apparentemente normali risultano essere elevati in presenza di ipervolemia e contribuiscono  ad un aumento delle resistenze vascolari e allo sviluppo d ipertensione arteriosa [25]. L’impressione clinica è che l’ipertensione sia meno grave con TAC rispetto a CsA, forse per la minore interferenza del TAC con la reattività delle cellule muscolari lisce  [26].

Dislipidemia. Elevati livelli serici di LDL-colesterolo e VLDL-trigliceridi sono frequenti in pazienti trattati con CsA. La patogenesi di queste alterazioni è probabilmente multifattoriale. CsA inibisce la 26-idrossilasi riducendo la sintesi di acidi biliari da parte del colesterolo [27] e inibendo  l’escrezione intestinale di colesterolo [28]. Inoltre, CsA può  aumentare i  livelli di proproteina convertasi subtilisina/kexina tipo 9 (PCSK9), un enzima che  degrada il recettore LDL, favorendo una ridotta presenza di questi recettori  sulla membrana della cellula epatica [29]. Una ridotta attività della lipoproteinlipasi può poi favorire un aumento delle VLDL circolanti. La dislipidemia è meno frequente e meno grave con TAC che con CsA.

Diabete. CNI possono   produrre intolleranza al glucosio attraverso diversi meccanismi, come ridotta secrezione insulinica [30] ed aumentata resistenza all’insulina [31]. Il diabete è molto più frequente con TAC, che  aumenta il riassorbimento di glucosio a livello del digiuno  [32] e potenzia la glicolipotossicità delle cellule beta, riducendone la proliferazione [33]. Nei ratti Zucker TAC riduce la proliferazione di cellule beta  e l’espressione del gene  Ins2  [34]. L’infezione  da HCV, la predisposizione familiare, il genere maschile, e l’obesità possono significativafmente aumentare il rischio di diabete. TAC non dovrebbe essere usato in queste circostanze.

Neurossicità. Tremori, parestesie e cefalea sono dose-dipendenti e molto più frequenti con TAC. Nei casi più gravi, si possono sviluppare  allucinazioni, convulsioni, atassia cerebellare e leucoencefalopatia posteriore, forse dovuta all’ alterata attività della barriera emato-encefalica con passaggio di CNI  nell’interstizio cerebrale, dsfunzione dei mitocondri e alterazioni elettrofisologiche dei neuroni [35]. Sono stati segnalati rari casi di sordità o otalgia.

Alterazioni dermatologiche. CsA può causare ipertricosi, lesioni pilosebacee e ipertrofia gengivale. L’ipertricosi, molto disturbante nei bambini e nelle giovani donne, è dose-dipendente ed è più frequente in soggetti con capelli scuri. E’ probabilmente correlata  ad una aumentata attività dell’alfa-reduttasi che trasforma gli androgeni in deidrotestosterore nei tessuti periferici [36]. Non vi sono alterazioni dermatologiche specifiche prodotte da TAC.

 

CNI e Trapianto Renale

Prima dell’avvento della CsA la terapia immunosoppressiva del trapianto di rene era basata sull’associazione  tra corticosteroidi ed azatioprina. Le forti dosi di questi farmaci non potevano impedire il  frequente sviluppo di rigetto acuto, ma causavano anche una elevata mortalità precoce da infezioni ed una cattiva qualità di vita nei  pazienti con rene ancora funzionante ad un anno dal trapianto.

Le prime sperimentazioni cliniche con  CsA  condotte da  sir Roy Calne in  pazienti con trapianto renale  da donatore deceduto, dimostrarono la possibilità di ridurre considerevolmente il rischio di rigetto acuto e di ridurre o sospendere i cortcosteroidi in alcuni casi [37].  Numerosi altri studi, inclusi tre studi randomizzati [38, 40] dimostrarono una sopravvivenza del paziente e del trapianto significativamente migliore nei soggetti trattati con  CsA rispetto a quelli  trattati con  steroidi ed azatioprina. In breve tempo, CsA divenne il farmaco di elezione per la terapia immunosoppressiva del trapianto. Tuttavia, le dosi usate nelle prime esperienze erano eccessivamente elevate, tra i 15 e i 17 mg/Kg/d nel primo periodo post-operatorio con lenta graduale riduzione a un mantenimento tra i 5 e 7 mg/Kg/d. Queste elevate posologie amplificarono la potenziale tossicità della CsA, soprattutto a livello renale. Biopsie precoci in trapiantati renali trattati con CsA mostravano spesso strisce di fibrosi interstiziale che progressivamente conducevano ad  una fibrosi interstiziale diffusa ed atrofia tubulare associate ad insufficienza renale. Dopo oltre un decennio dall’avvento della CsA venne reso disponibile l’uso di TAC. A differenza di CsA i dosaggi erano considerevolmente inferiori (0.2 mg/kg/die per l’induzione, 0.05-0.1 mg/kg/die per il mantenimento). Anche TAC è potenzialmente nefrotossico ed il suo uso prolungato era frequentemente associato a fibrosi interstiziale ed atrofia tubulare. Però la  fibrosi interstiziale non è un segno patognomonico di nefrotossicità da CNI; rappresenta infatti lo stadio finale di un complesso processo patologico, comune ad ogni insulto renale cronico. Può essere indotta  dal danno da ischemia-riperfusione, da  altri farmaci nefrotossici (antibiotici, antivirali, antiinfiammatori  etc), da rigetto acuto o cronico, da cattiva qualità del rene donato, da stimoli ipossici, da infezioni batteriche o virali o altri eventi di qualsiasi natura che possono danneggiare il rene [41]. Questi eventi possono  produrre transizione epitelio-mesenchimale, arresto del ciclo cellulare, alterato metabolismo cellulare e progressivo deposito  di matrice extracellulare con fibrosi renale. Inoltre le cellule tubulari. che sono particolarmente vulnerabili a stimoli tossici, possono attivare i fibroblasti e produrre grandi quantità di matrice extracellulare [42].

Tuttavia, il frequente riscontro di fibrosi interstiziale in pazienti trapiantati in terapia con CNI veniva spesso attribuito alla nefrotossicità del farmaco. Tale convinzione venne apparentemente confermata da uno studio  australiano basato su biopsie protocollari in pazienti con trapianto di rene e pancreas trattati a lungo termine con CsA. A 10 anni dal trapianto  la  nefrotossicità da CsA  era presente in quasi tutti i reni, compresi quelli con un quadro istologico eccellente nel breve termine. Sempre a 10 anni, una grave nefropatia cronica documentata istologicamente era presente nel  58.4 % dei pazienti. Nonostante queste gravi lesioni istologiche la sopravvivenza del trapianto renale nella casistica descritta era del  95% a 10 anni [43]. Altri gruppi riportarono eccellente sopravvivenza renale dopo 10 anni o più con creatininemia stabile, anche se  superiore ai valori normali [44,45]. I pazienti oggetto di questi studi erano stati trapiantati  nei primi anni ’90, quando TAC non era disponibile e  le dosi di CsA erano molto superiori a quelle usate attualmente. Oggi, nonostante alcuni Autori insistano nel  ritenere che l’uso di  CNI  debba essere  limitato a causa della loro nefrotossicità [46], altri ricercatori sottolineano che la responsabilità di CNI nella insufficienza cronica del trapianto renale sia stata esagerata e sopravvalutata rispetto ad altri fattori di rischio, quali il rigetto anticorpo-mediato e la cattiva aderenza alle prescrizioni [47-50].

Le maggiori incertezze riguardano il lungo termine. Solo pochi studi hanno riportato  follow-ups di 10 anni [51-54]. Quattro studi  hanno studiato le caratteristiche di trapiantati renali seguiti fino a 20 anni, ma la maggior parte dei pazienti avevano ricevuto  terapie basate su  azatioprina e corticosteroidi [55-58]. Recentemente, Moroni et al [59] hanno studiato le condizioni cliniche di 173 pazienti con trapianto renale trattati per 20 anni con ciclosporina. All’ultima visita clinica, molti di questi pazienti avevano ipertensione (83%), neoplasie maligne (13%), diabete (9%) e/o malattie cardiovascolari (9%). Tuttavia, nei pazienti con trapianto renale funzionante  a 20 anni la creatinina serica mediana era 1,4 mg/dL ed era  stabile da anni. Analogamente la proteinuria era stabilizzata a 0.6 g/die.  Una chiara dimostrazione che un prolungata somministrazione di CsA non è necessariamente responsabile di in danno renale progressivo.

 

Conclusioni

CNI rimangono  un presidio terapeutico importante nel trapianto di rene. Il loro uso prolungato e ad alte dosi può però esporre a diverse complicazioni e  può contribuire alla disfunzione del rene trapiantato. Tuttavia, alcuni accorgimenti possono ridurre il rischio di eventi avversi. In pazienti, con inadeguata ripresa funzionale o ipertensione severa le dosi di CNI (soprattutto ciclosporina) dovrebberro essere minimizzate o il loro uso rimandato di qualche giorno utilizzando globuline anti-timociti per l’induzione. Per quanto riguarda il mantenimento. in pazienti con GFR < 50 ml/min o ipertensione severa le dosi di CNI dovrebbero essere minimizzate  associandole con inibitori di mTOR  o  inibitori della sintesi purinica. Va evitato, nei limiiti del possible,   l’uso di farmaci nefrotossici o di farmaci che interferendo con l’attività di CYP450 o glicoproteina P possono alterare la biodisponibilità o la farmacodinamica di CNI. Va ridotto il dosaggio di CNI se la creatinina serica aumenta > 25-30%, senza altre cause individuabili o se il paziente accusa segni di tossicità (tremori, ipertricosi, ipertensione). In caso di nefropatia da BK polyoma virus CNI vanno sospesi e sostituiti da mTOR inibibitori che possono esercitare attività sia immunosoppressiva che antivirale [60]. Soprattutto, non vanno interpretate fideisticamente le raccomandazioni riguardanti i livelli ematici. I livelli plasmatici non ci danno alcuna idea della concentrazione intracellulare, che è molto superiore e molto più importante  di quella plasmatica [61]. In caso di polimorfismo della glicoproteina P, che può essere presente in 1/3 della popolazione europea [62] o uso di sostanze che inibiscano la sua attività potremmo avere livelli ematici bassi  e concentrazioni intracellulari elevate! Vice versa in caso di iperattività della glicoproteina P. Inoltre non è ancora certo se l’azione immunosoppressiva  di CNI debba coprire uniformemente 24 ore o debba essere concentrata sulle ore diurne. La migrazione di linfociti dai linfonodi non è continua ma segue  un ritmo circadiano. I linfociti rimangono nei linfonodi durante la notte mentre circolano durante il giorno. Vi sono grandi oscilazioni che dipendono da fattori promigranti, come il numero di cellule dendritiche [63], stimoli adrenergici [64], chemochine, citochine e fattori di accrescimento che regolano l’organizzazione funzionale dei linfonodi e l’egresso dei linfociti [65].

Va comunque sottolineata la possibilità di poter usare I CNI  per decenni senza causare   un progressivo ed inesorabile peggioramento della funzione renale, alla condizione di ripettare alcune indicazioni:   le dosi di mantenimento non devono superare i 2- 3 mg/kg/die  con CsA e 0.05- 0.1 mg/kg/die con TAC;  i pazienti devono essere   monitorati frequentemente e non ogni 6-12mesi; va evitato un atteggiamento  fideistico nei confronti dei livelli ematici, che possono  condurre a gravi errori terapeutici.

Dopo molti anni di sterili discussioni sul rischio di insufficienza renale irreversibie causata da CNI, va ricordato che la causa più frequente di fallimento di un trapianto non è la nefrotossicità da CNI, ma è  il decesso del ricevente. Le cause maggiori di danno cronico renale sono oggi rappresentate dal rigetto cronico anticorpo-mediato, dalla recidiva di malattie renali o sistemiche, dalla cattiva aderenza alle prescrizioni e dalla cattiva qualità dell’organo trapiantato. CNI possono esercitare nefrotossicità, ma questo rischio può essere ridotto da un attento monitoraggio clinico.

 

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