L’aumento della prevalenza del diabete mellito costituisce uno dei problemi reali con i quali il sistema sanitario dovrà misurarsi nel prossimo futuro. L’OMS riconosce ormai il diabete come una vera e propria pandemia. Le stime parlano di un raddoppio dei casi in 20 anni: dai 380 milioni circa a livello mondiale del 2014 si passerà ai quasi 600 milioni nel 2035. In Italia la prevalenza si aggira intorno al 6 per cento della popolazione, ma gli indicatori ci portano a credere che siano molti i casi non diagnosticati.
L’impatto sul sistema è evidente, soprattutto se si considera un atteso aumento delle complicanze croniche della malattia. Infatti il diabete è la prima causa di cecità nelle persone tra i 20 e i 70 anni, la prima causa di insufficienza renale terminale, la prima causa di amputazione non traumatica degli arti inferiori; inoltre la malattia aumenta il rischio di 2-4 volte di essere colpiti da eventi cardiovascolari, aumenta il rischio di incorrere in neoplasie e riduce l’aspettativa di vita di 5-10 anni.
Secondo l’Italian Barometer Diabetes Observatory, Il 10% di tutte le persone con diabete ha una cardiopatia ischemica, il 32% di tutte le persone con diabete ha una neuropatia, fino al 34% di tutte le persone con diabete ha una retinopatia, una condizione che può portare alla cecità, il 30-40% delle persone con diabete di tipo 1 e il 5-10% di quelle con diabete di tipo 2 sviluppano nel corso della vita insufficienza renale con necessità di dialisi due terzi delle persone con diabete di tipo 1 e oltre la metà di quelle con diabete di tipo 2 non presentano un adeguato controllo metabolico il 26-50% delle persone con diabete di tipo 2 non è a conoscenza della propria condizione e resta senza cure.
Oltre che un problema sanitario il diabete è destinato ad assumere contorni economici preoccupanti: secondo l’ultimo rapporto Arno (2011) i costi del diabete per il budget della sanità italiana ammontano al 9% delle risorse. Il costo per la sanità di un cittadino italiano con diabete è in media di 2.600-3.200 € all’anno, più del doppio rispetto a cittadini di pari età e sesso, ma senza diabete. Se la patologia continuerà a crescere ai ritmi attuali, presto le risorse disponibili non saranno più sufficienti a garantire equità di accesso a cure di qualità adeguata
Classicamente le complicanze croniche del diabete vengono distinte in:
- Microvascolari (Retinopatia, Nefropatia e neuropatia)
- Macrovascolari (Vasculopatia aterosclerotica a carico di cuore, cervello, vasi periferici)
Numerosi studi osservazionali e di intervento indicano il cattivo controllo glicemico e la durata della malattia diabetica assieme a fattori genetici come gli elementi più fortemente associati allo sviluppo e alla progressione delle complicanze microvascolari del diabete La retinopatia è la prima causa di deficit visivo nei soggetti in età lavorativa. È rara nei primi 3-5 anni dalla diagnosi nei pazienti con diabete tipo 1. Dopo 20 anni di malattia quasi il 100% dei pazienti presenta una qualche grado di retinopatia. Nel diabete tipo 2, fino al 30% dei pazienti presenta retinopatia già al momento della diagnosi e ciò sta a significare almeno 7-8 anni di malattia diabetica rimasta asintomatica o paucisintomatica e non diagnosticata La complicanza può decorrere in maniera asintomatica per lungo tempo e ciò sottolinea l’importanza di uno screening periodico al fine di poter intervenire tempestivamente dal punto di vista terapeutico: la valutazione del fundus va eseguita entro 3-5 anni dalla diagnosi di diabete tipo 1 ed alla diagnosi del diabete di tipo 2. Successivamente, se negativo, l’esame può essere ripetuto ogni 2 anni. La neuropatia diabetica può estrinsecarsi clinicamente in diverse forme: polineuropatia sensitivo-motoria distale, mononeuropatia, neuropatia prossimale amiotrofica, neuropatia autonomica. La forma più frequente è la polineuropatia sensitivo motoria distale che può portare a perdita della sensibilità e a deformazioni del piede, fattori di rischio per lo sviluppo di ulcere. Anche in questo caso lo screening periodico (esame obiettivo + valutazione della sensibilità tattile e vibratoria) permette di adottare misure profilattiche per la prevenzione delle ulcere (si sottolinea che l’85% dei casi di amputazione a carico degli arti inferiori è preceduto da un’ulcera) Di particolare interesse è la neuropatia autonomica che si esprime con disturbi gastrointestinali (gastroparesi, diarrea, dispepsia), genito-urinari (eiaculazione retrograda, disfunzione erettile) e cardiovascolari (ipotensione ortostatica, sincopi, aritmie cardiaco) e può incidere in maniera importante sulla prognosi quoad vitam del paziente La macroangiopatia diabetica nella sua localizzazione coronarica, cerebrale e periferica degli arti inferiori è la più frequente causa di morte e una importante causa di invalidità nella popolazione diabetica dei paesi industrializzati. Le lesioni aterosclerotiche dei soggetti diabetici sono pressoché indistinguibili da quelle osservate nei soggetti non diabetici, salvo che, a parità di età, sono più estese, sono localizzate più distalmente e sono più spesso complicate. La mortalità coronarica è sostanzialmente più elevata nei soggetti diabetici da 2 a 6 volte, con differenze più marcate nelle donne che sembrano perdere la loro naturale protezione contro la cardiopatia ischemica. Anche l’insufficienza cardiaca si presenza con maggiore frequenza nei soggetti con diabete (2 volte più frequente nei maschi, 5 volte più frequente nelle femmine).
Come contrastare questa pandemia?
L’intervento più efficace è sicuramente la prevenzione del diabete; numerosi studi di intervento sullo stile di vita hanno dimostrato che comportamenti “salutari” diminuiscono drasticamente l’incidenza di malattia; la prevenzione perciò dovrebbe entrare nei programmi delle politiche governative. Un’altra arma dovrebbe essere la diagnosi precoce: i dati di letteratura indicano, peraltro, che spesso la diagnosi di diabete viene effettuata in ritardo, con complicanze croniche già presenti al momento del primo contatto con il medico. Per quanto riguarda la terapia e tralasciando gli aspetti più squisitamente specialistici, l’approccio al paziente con diabete deve essere globale, mirato cioè alla correzione di tutti i fattori di rischio. Sovente, soprattutto in passato, i diabetologi hanno avuto una visione “glucocentrica” della malattia diabetica, basata sui risultati degli storici Trial di intervento (DCCT, EDIC, Kumamoto, UKPDS) ed hanno focalizzato la loro attenzione principalmente sull’ottenimento di uno stretto controllo glicemico I componenti di adeguato trattamento terapeutico debbono invece considerare: corretto stile di vita (attività fisica ed alimentazione), controllo glico-metabolico, controllo pressorio, controllo assetto lipidico, l’uso di farmaci adeguati. Per quanto riguarda il controllo glico-metabolico il messaggio forte uscito in questi ultimi anni da quasi tutte le Linee Guida Internazionali è la “personalizzazione”: obiettivi e strategie del trattamento debbono considerare molti aspetti che possono influenzare gli “hard end points” come l’età, l’aspettativa di vita, la durata della malattia diabetica, l’eventuale presenza di importanti comorbilità, l’impatto di eventuali ipoglicemie e non ultimi, l’ambiente socio-economico e l’accettabilità della terapia consigliata.
Al momento attuale disponiamo di un discreto numero di farmaci anti-iperglicemici che ci consentono di vestire il paziente con la migliore terapia adatta alle sue caratteristiche. L’esempio più concreto che un approccio terapeutico globale porti risultati tangibili in termini di riduzione di complicanze e di riduzione della mortalità è dato dallo Studio Steno e dalla sua estensione Steno-2. In questo caso pazienti diabetici microalbuminurici sono stati trattati con farmaci anti-iperglicemici più inibitori del SRA più statine più Aspirina con il fine di raggiungere obiettivi particolarmente ambiziosi.
Il trattamento “intensivo” ha prodotto una riduzione del rischio relativo di circa il 60% di incorrere in retinopatia, nefropatia e neuropatia autonomica ed una riduzione del rischio assoluto del 20% di incorrere in eventi cardiovascolari in un arco di tempo di 8 anni. Molto recentemente ha destato particolare interesse il Trial EMPA-REG nel quale l’aggiunta in terapia di un SGLT2 inibitore (empagliflozin) in pazienti ad elevato rischio cardiovascolare (pregresso IMA, pregresso stroke, Vasculopatia periferica) ha dimostrato di ridurre in maniera clamorosa ed in tempi molto precoci il rischio di incorrere in eventi cardiovascolari maggiori. [1] (full text) [2] [3] (full text) [4] [5] [6] (full text) [7] [8] (full text) [9] (full text) [10] (full text) [11] [12] (full text) [13] [14] [15] (full text)
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